Vuoi un pezzo di Amazzonia? La trovi in svendita su Facebook

Da qualche tempo è possibile acquistare un lotto della Foresta Amazzonica sul servizio Marketplace di Facebook, come riporta un’indagine della BBC1. Si tratta di veri e propri annunci di messa in vendita di porzioni della foresta pluviale, alcuni grandi fino a 1000 campi da calcio. Naturalmente ciò avviene in modo illegale, dato che parliamo di aree protette e abitate dalle popolazioni indigene. Come ormai è una triste consuetudine, questi terreni vengono occupati per essere disboscati, in modo che acquisiscano valore per essere poi rivenduti come terreni coltivabili2

Stiamo parlando peraltro di territori ben localizzabili, si trovano nelle aree della Terra Indígena Uru Eu Wau Wau, della Reserva Extrativista Angelim e della Floresta Nacional do Aripuanã3. Il tutto corredato da documentazione fotografica e descrizione dettagliata. 

FACEBOOK si difende

La difesa di Facebook si poggia sul fatto di essere solo un tramite, smarcandosi dalla responsabilità diretta di ciò che viene venduto attraverso la sua piattaforma, affermando che gli utenti sono tenuti a rispettare le leggi vigenti nel proprio paese. Eppure, sembra che non importi quanto sia palese l’illecito commesso alla luce del sole, dunque il social non prenderà provvedimenti autonomi

Facebook, comunque, si dice disposto a collaborare con le istituzioni. Peccato che le autorità brasiliane, soprattutto da quando Bolsonaro è al governo, spesso favoriscano le attività che causano la deforestazione dell’Amazzonia. Gli stessi venditori dichiarano che in quelle zone della foresta non c’è rischio di controlli da parte delle autorità4. Ora, dopo il clamore suscitato dal report della BBC, forse qualcosa si è mosso, infatti la Corte suprema federale del Brasile ha aperto un’inchiesta della Procura generale e del ministero della Giustizia5, augurandoci che non vada ad aumentare il numero di cause intentate e poi abbandonate. 

COM’È POSSIBILE?

Il fatto che su una delle piattaforme Social più diffuse e, a detta di alcuni, più controllate, siano stati trovati (e si possono ancora trovare!) annunci simili, lascia un certo sconcerto. Com’è possibile che avvenga questo? C’è da dire che la difesa di Facebook, in effetti, dal punto di vista strettamente legale, è difficile da contestare. Forse il problema sta a monte, ci affidiamo quasi ciecamente a servizi controllati da aziende che, dopo tutto, agiscono ponendo come fine ultimo il proprio profitto e non hanno interesse a intervenire in una questione, se questa non interferisce con il loro modello di business. Se lo fanno è per avere qualche tornaconto economico o di immagine. D’altra parte a causa dell’uso massivo della profilazione queste piattaforme non fanno altro che alimentare un sistema consumistico ben lontano da poter essere considerato sostenibile, martellando l’utente con annunci pubblicitari che lo inducono a comprare sempre più nuovi prodotti 6. Tenendo poi conto della cospicua raccolta dati che la compagnia attua attraverso l’uso dei suoi servizi (che ricordiamo, comprendono anche Instagram e WhatsApp), siamo sicuri che siano strumenti adatti per chi fa attivismo?

C’È ALTERNATIVA?

Non dobbiamo pensare che i modelli di social network che si sono imposti in questi  anni debbano essere per forza gli unici o che siano immutabili. Già stanno nascendo progetti alternativi, come abbiamo già provato ad individuare in articoli precedenti7, piattaforme aperte, decentralizzate e interconnesse tra di loro8. Fridays For Future Italia e Extinction Rebellion Italia, così come altri movimenti, sono già presenti su alcuni di essi. La speranza è che questi modelli aiutino a gestire situazioni di criticità in modo etico, senza dover intaccare la libertà di espressione9

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