La tassonomia europea (regolamento 2020/852), entrata in vigore nel 2020, è un sistema di classificazione che stabilisce un elenco di attività economiche ecosostenibili. È rivolta alle imprese, agli investitori e ai policy maker, per dotarli di definizioni chiare su cosa è considerato sostenibile, e indirizzarli nelle loro scelte. L’obiettivo è dare sicurezza agli investitori, proteggere gli investimenti privati dal greenwashing e indirizzarli dove sono più necessari per combattere la crisi climatica.
I 6 obiettivi della tassonomia con cui si giudicano gli investimenti sono:
- mitigazione dei cambiamenti climatici
- adattamento ai cambiamenti climatici
- uso sostenibile e protezione delle acque e delle risorse marine
- transizione verso un’economia circolare
- prevenzione e riduzione dell’inquinamento
- protezione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi
Perché servono questi investimenti? La Commissione stima che serviranno circa 520 miliardi all’anno per la transizione, di cui la maggior parte da investimenti privati.
Cosa NON è la tassonomia?
- Non è una legge che decide i mix energetici dell’Unione o dei singoli stati.
- Non impedisce investimenti in alcun settore, semplicemente ne classifica solo alcuni come sostenibili.
- Non impone chiusure di centrali di nessun tipo.
Sembra una bella cosa, dov’è il problema?
Il problema sta nella modifica che è stata presentata alla Commissione europea. Il terzo atto delegato (Complementary Climate Delegated Act) è stato proposto dalla Commissione a febbraio 2022. L’atto aggiunge alla tassonomia gas e fissione nucleare come fonti energetiche ecosostenibili e quindi verdi.
Da febbraio si è aperto un periodo di 4 mesi in cui Consiglio e Parlamento Europeo possono richiedere un voto contrario all’atto delegato e quindi bocciarlo nella sua interezza. La procedura per l’approvazione di un atto delegato prevede infatti un periodo di silenzio assenso in cui in mancanza della richiesta da parte di uno stato membro o di dei gruppi parlamentari di bocciare l’atto delegato. Allo scadere dei 4 mesi previsti si considera approvato. Il Parlamento Europeo, dopo un voto nelle commissioni parlamentari ENVI ed ECON, dovrà votare pro o contro la risoluzione che chiede di bocciare l’atto delegato nella plenaria di luglio.
Per bloccare la proposta servono almeno 353 voti contrari nel parlamento europeo. L’atto delegato viene approvato o bocciato nella sua interezza, non si può tenere solo la parte relativa al gas o quella relativa al nucleare. È importante notare che se il parlamento europeo voterà in modo contrario, la tassonomia non scomparirà, semplicemente rimarrà allo stato attuale. Gli Stati manterranno una competenza sulle questioni energetiche concorrente rispetto a quella UE, la tassonomia non dice niente sul mix energetico quindi i fondi privati e gli stati possono investire liberamente nelle fonti non presenti nell’elenco.
Legare insieme gas e nucleare non è stato casuale, perché i paesi a sfavore di entrambi sono in minoranza. La maggioranza dei paesi è a favore di una sola delle due fonti, ma appoggia la modifica per portare avanti i propri interessi.
L’approvazione dell’atto delegato renderebbe dannosa o inutile la tassonomia, che perderebbe credibilità scientifica e danneggerebbe la reputazione internazionale dell’Unione europea.
La proposta indebolirebbe infatti la leadership europea nel campo delle politiche contro la crisi climatica. Nonostante le politiche climatiche certamente migliorabili, l’Europa è comunque vista come un punto di riferimento a livello mondiale in questo ambito. Se abbassassimo ulteriormente i nostri standard, influenzeremo negativamente anche quelli di altri paesi. Anzi, sta già accadendo: la Corea del Sud, per esempio, seguendo il dibattito europeo, a dicembre del 2021 ha indebolito la propria tassonomia includendo il gas.
Il coordinamento di politiche a livello globale sul clima è complicato dalla totale autonomia degli stati in questo campo. Per questo sarebbe molto grave perdere una rara occasione di influenzare le politiche climatiche in tutto il mondo.
Un altro punto critico è che renderebbe gli investimenti privati molto meno chiari. Se un risparmiatore sceglie di investire in attività verdi, quindi taxonomy aligned, potrebbe finire per finanziare una centrale a gas. Sarà facile per le aziende del fossile affermare di essere allineate alla tassonomia, almeno per una parte delle proprie attività, quindi di essere in parte green e di conseguenza attrarre più capitali. Una tassonomia che include i combustibili fossili porterà ad avere uno standard sulla finanza così basso che potrebbe non essere neanche usato. La Net Zero Owner Alliance e l’institutional investors group on climate change hanno chiesto di votare contro questo atto delegato. Anche Blackrock ha detto che la tassonomia europea con questo atto delegato non ha senso.
L’atto delegato crea anche un pericoloso precedente, perché la tassonomia sarà un riferimento per misure future, come scritto nelle considerazioni preliminari del testo: «potrebbe anche fungere da base per altre misure economiche e normative. Requisiti giuridici uniformi volti a stabilire il grado di ecosostenibilità degli investimenti, basati su criteri uniformi di ecosostenibilità delle attività economiche, sono necessari come riferimento per il futuro diritto dell’Unione inteso ad agevolare lo spostamento degli investimenti verso attività economiche ecosostenibili».
Le condizioni per gli impianti a gas, nel caso le emissioni di gas serra del ciclo di vita della centrale non rispettino il limite di 100 g CO2e/kWh, anche attraverso il ricorso alla cattura e allo stoccaggio del carbonio, sono:
- il nuovo progetto deve essere approvato entro il 31 dicembre 2030
- deve essere situato in uno Stato Membro che ha confermato l’intenzione di uscire dalla generazione a carbone
- deve sostituire una centrale a carburante fossile esistente in mancanza di alternative rinnovabili
- deve avere emissioni dirette inferiori a 270 g CO2e/kWh oppure emettere meno di 550kg CO2e/kW in media all’anno misurato su un periodo di 20 anni; un verificatore indipendente deve presentare un rapporto annuale che dichiari se la centrale è in linea con questa media.
- deve presentare un piano per sostituire il gas fossile come carburante della centrale con un carburante rinnovabile o a basso carbonio (come biogas, idrogeno o metano sintetico) entro il 31 dicembre 2035, con dei passi intermedi obbligatori di miscelazione del 30% entro il 1 gennaio 2026 e del 55% entro il 1 gennaio 2030
- deve impegnarsi a monitorare ed eliminare fughe di metano nell’impianto
Questi paletti sono inaccettabili: includendo progetti fino al 2030, le centrali interessate continueranno a inquinare ben oltre quella data; imporre limiti di emissioni non è sufficiente, quando l’obiettivo dovrebbe essere di azzerarle; per di più queste emissioni verranno classificate come verdi e sostenibili. A questo riguardo, l’IGCC ha scritto che «i criteri della tassonomia [attualmente] chiariscono che la produzione di energia, compreso il gas, deve rimanere entro una soglia di emissioni di 100 g CO2e/kWh per dare un contributo sostanziale agli obiettivi climatici della tassonomia. Aumentare questa soglia a 270 g C02e/kWh per i progetti gas con autorizzazioni concesse prima del 2030, come proposto nel Complementary Delegated Act, significherebbe che molte società energetiche sarebbero allineate con la tassonomia, anche se le loro attività e i loro piani di transizione non fossero in linea con Net Zero. Tutto ciò a sua volta ostacola la capacità dei nostri membri di allineare i loro portafogli con Net Zero, minando l’intero scopo della tassonomia e il lavoro sostanziale che è stato intrapreso per svilupparla».
Il gas è una fonte che inquina quando viene utilizzata, emettendo CO2, e quando viene trasportata, a causa delle fughe nei gasdotti e negli impianti. Nel secondo caso viene emesso metano in atmosfera, che ha un effetto serra 80 volte superiore alla CO2.
Non sono neanche previsti, al momento, né sembrano possibili, dei meccanismi di verifica credibili, di applicazione delle condizionalità e di sanzioni se i criteri non venissero rispettati. «La semplice promessa ex ante di aderire alle condizioni poste è sufficiente per ottenere la certificazione verde ed accedere ai capitali. Una volta finanziata e costruita la centrale, non vi è alcun tipo di infrazione prevista se questa designazione dopo qualche anno disattende le condizioni originali».
Esiste anche il rischio di lock-in: la stessa tassonomia indica che si deve evitare che «l’attività economica finanziata, nel corso della sua vita economica, subisca effetti di dipendenza («lock-in») dannosi per l’ambiente e, in particolare, resti fortemente vincolata al carbonio. Tali criteri dovrebbero tenere conto anche dell’impatto a lungo termine di ciascuna attività economica». Il modo in cui prova a evitare il lock-in è attraverso la progressiva sostituzione del gas fossile con carburanti come biogas, idrogeno o metano sintetico, ma il limite per presentare il piano di conversione è fissato al 31 dicembre 2035, a cui si deve aggiungere il tempo di implementazione. Il risultato è che si potrà continuare ad avere centrali a gas inquinanti per almeno i prossimi 13 anni, che saranno state, per di più, finanziate in quanto fonti sostenibili. Inoltre, l’idrogeno in questo caso sarebbe inefficiente: per ogni kW di energia elettrica di una centrale a idrogeno verde sono necessari 2,8 kW di energia elettrica per la sua produzione.
Non sorprende la proposta della Commissione, se si tiene conto dell’enorme lavoro di lobbying messo in atto dalle imprese del gas. Pascoe Sabido, ricercatore di Corporate Europe, ha dichiarato che «la lobby del gas è potentissima a Bruxelles, anche perché la filiera industriale è enorme. Poco tempo fa abbiamo calcolato che tutte insieme arrivano a spendere in attività lobbistica a Bruxelles oltre 100 milioni di euro all’anno e dispongono di un esercito di mille lobbisti».
Nel 2021 l’esercito di lobbisti del gas è riuscito a organizzare più di 150 incontri, praticamente un giorno sì e uno no, con commissari europei, alti dirigenti della commissione e funzionari degli organismi europei.
Bas Eickhout, vicepresidente della commissione ambiente del Parlamento europeo ha detto: «Quando la Commissione Europea deve fare valutazioni sui futuri scenari energetici, quasi sempre chiede consiglio alle aziende del settore del gas. Le quali cosa potranno dirti? Che serve sempre più gas».
L’esempio di ENTSOG (European Network of Transmission System Operators for Gas) è paradigmatico: si presenta formalmente come un organismo tecnico neutrale al servizio della Commissione Europea, ma in realtà è formato da soggetti che hanno interessi economici diretti nel settore del gas. Di Entsog fanno parte le compagnie private e statali che gestiscono gasdotti e rigassificatori in Europa. Tra queste c’è anche Snam, che siede nel comitato esecutivo dell’organizzazione. Nonostante l’evidente conflitto d’interesse, proprio a partire dalle previsioni di Entsog, la Commissione Europea ha assunto negli ultimi anni le sue decisioni cruciali sulla politica energetica. Sulla base delle analisi e delle previsioni sui consumi forniti da Entsog, la Commissione Europea decide se investire o meno in nuovi gasdotti e infrastrutture. Questi investimenti, pagati dai contribuenti, vengono stanziati in base ai consigli che l’Europa riceve dalle stesse aziende del gas che poi gestiranno le nuove infrastrutture.
A fare lobbying non sono solo le imprese degli Stati membri: Gazprom è attiva in modo indiretto. Sempre Pascoe Sabido afferma: «Gazprom ha un profilo molto basso. Dichiara una spesa inferiore a 700 mila euro in lobbying all’anno, ha solo nove dipendenti. Gazprom non fa molta pressione in prima persona, ma usa i suoi partner per farla. Shell, Total, Eni vanno a bussare alle porte della Commissione Europea al posto suo».
Inserendo il gas in tassonomia, si fanno quindi anche gli interessi della prima azienda energetica russa, principale fonte di finanziamenti per lo stato russo e la sua guerra in Ucraina.
Per quanto riguarda la fissione nucleare, la Commissione aveva richiesto un rapporto al TEG (Technical Expert Group) nel 2019, che aveva ritenuto che l’energia nucleare potesse essere utile all’obiettivo della mitigazione del cambiamento climatico, ma aveva raccomandato la non inclusione in tassonomia in quel momento, a causa delle difficoltà nell’arrivare a delle conclusioni riguardo alla conformità di questa fonte energetica con il principio del “do no significant harm”. «It was not possible for TEG, nor its members, to conclude that the nuclear energy value chain does not cause significant harm to other environmental objectives on the time scales in question. The TEG has not therefore recommended the inclusion of nuclear energy in the Taxonomy at this stage. Further, the TEG recommends that more extensive technical work is undertaken on the DNSH aspects of nuclear energy in future and by a group with in-depth technical expertise on nuclear life cycle technologies and the existing and potential environmental impacts across all objectives».
A questo rapporto è seguito quello del JRC (Joint Research Committee) nel 2021, che ha giudicato l’energia nucleare non pericolosa: «The analyses did not reveal any science-based evidence that nuclear energy does more harm to human health or to the environment than other electricity production technologies already included in the Taxonomy as activities supporting climate change mitigation».
Il Scientific Committee on Health, Environmental and Emerging Risks (SCHEER) ha criticato l’approccio usato dal JRC per valutare la conformità con il principio “do no significant harm”: «The SCHEER agreed to develop a Review on the formal and conceptual issues and findings discussed in the JRC Report, and to focus on the aspects of expertise recognised within the SCHEER, specifically a broad range of expertise, including: risk assessment to human health and the environment, pollution prevention, biodiversity/ecosystem protection, and ensuring the protection of water and marine resources. It was noted that the SCHEER did not include experts in long-term high-level radioactive waste treatment and storage technologies and risks and therefore any comments on those sections are limited.
The SCHEER is of the opinion that the findings and recommendations of the report with respect of the non-radiological impacts are in the main comprehensive. However, the SCHEER is of the opinion that there are several findings where the report is incomplete and requires to be enhanced with further evidence. For the DNSH criteria, in many cases the findings (comparing Nuclear Power Plant (NPP) to other energy generating technologies already in Taxonomy) are expressed as do less harm than at least one of the comparator technologies, which in the SCHEER view is different to “do no significant harm”. It is the opinion of the SCHEER that the comparative approach is not sufficient to ensure “no significant harm.”
The JRC report concludes that NPP operation activities do not represent unavertable harm to human health or to the environment, provided that the associated industrial activities satisfy appropriate Technical Screening Criteria (Regulation (EU) 2020/8521 (‘Taxonomy Regulation’). The SCHEER broadly agrees with these statements, however, the SCHEER is of the view that dependence on an operational regulatory framework is not in itself sufficient to mitigate these impacts, e.g. in mining and milling where the burden of the impacts are felt outside Europe.
With regard to the Impact of radiation on the environment, the concept expressed isthat “the standards of environmental control needed to protect the general public are likely to be sufficient to ensure that other species are not put at risk”. It is the opinion of the SCHEER that this statement is simplistic and does not allow estimation of the potential risks to the environment, without an assessment of the potential exposure of the different components of the ecosystems. In particular, with regard to protection of water and marine resources as well as biodiversity the notion that thermal pollution of seawater is less of a problem because of “practically infinite mixing” is not shared by the SCHEER since the potential problems in shallow coastal areas and vulnerable ecosystems (e.g. coral reefs) are overlooked».
L’Agenzia internazionale dell’energia, nel report European Union 2020 ha raccomandato l’inclusione del nucleare per creare un «level playing field», mentre la PSF (Platform on Sustainable Finance), ha espresso preoccupazione per l’inclusione del nucleare, dato che non lo considera in linea con il principio “do no significant harm”.
I rapporti a nostra disposizione non sono dunque tutti allineati. Per quanto riguarda l’inserimento del nucleare c’è un dibattito più ampio e con opinioni diverse. Quel che è certo è che la presenza del gas dovrebbe esser fuori discussione. Tuttavia l’atto delegato è unico, per cui all’atto pratico è utile fino ad un certo punto fare distinguo.