Algoritmi insostenibili, design e dark patterns

La parola “algoritmo” è diventata sempre più comune, ma se molti sanno familiarizzare anche con il suo significato, per altri esso può apparire come qualcosa di complesso e fumoso. Niente paura, anche se nasce dalla matematica (il nome deriva dal matematico arabo al-Khuwārizmī), il concetto di algoritmo è molto semplice. Si tratta semplicemente di una sequenza di operazioni da compiere per giungere a un determinato scopo o risolvere un certo problema. Per fare un esempio, una ricetta di cucina, se espone le istruzioni esatte per preparare una pietanza, può essere considerato un algoritmo. Così allo stesso modo in informatica si definisce un algoritmo come una serie di istruzioni o, se vogliamo, “comandi”, da dare ad un calcolatore, che, eseguendoli passo per passo produrrà il risultato sperato (se il programmatore ha fatto un buon lavoro).

A sinistra, una generica (forse troppo) ricetta di cucina, a destra un semplice esempio di codice di programmazione che stampa delle parole.

LA VIA PIÙ BREVE

Ora che il concetto di algoritmo fa meno paura, possiamo anche comprendere che ruolo abbia nell’ottimizzare qualsiasi lavoro svolto da esseri umani. Se questo presenta una serie di passi e procedure che si ripetono, possono essere svolti da macchine o apparati elettronici e digitali, risparmiando tempo e fatica. Naturalmente, se vogliamo che il nostro sistema sia veramente ottimizzato vorremmo scrivere il nostro algoritmo in modo che si raggiunga il risultato nel minor numero di passi possibili, così come quando si va da un punto A a un punto B si tende a scegliere la via più breve. Eppure non sempre è così, molti dei sistemi informatici che utilizziamo comunemente introducono complessità, un po’ come se volessero fare un percorso più lungo, nei loro processi, perchè non è loro interesse mostrare semplicemente il risultato finale all’utente.
Infatti chi controlla queste piattaforme deve anche riuscire a trarne profitto, ricorrendo a diversi modelli di business, per esempio con la presenza di pubblicità. Spesso però, non si limitano a presentare annunci pubblicitari in modo casuale, ma, avendo in molti casi a disposizione una grande quantità di dati sui loro utenti, possono anche mostrare questi annunci in maniera mirata, attraverso la profilazione. Così l’algoritmo deve essere strutturato in modo da tener conto delle preferenze del singolo utente, per far apparire sul suo schermo l’annuncio che ha maggior probabilità di attirare la sua attenzione. Non solo, per massimizzare la riuscita di questi annunci, c’è bisogno che gli utenti trascorrano più tempo possibile sulla piattaforma, quindi si progetta la User Experience in modo da creare assuefazione alla stessa, provocando gli ormai già noti problemi di dipendenza, soprattutto per quanto riguarda i social. 1

DESIGN E DARK PATTERN

Come il design ci fa consumare di più?
Quando si pensa al design la prima cosa che ci viene in mente è la progettazione di un oggetto fisico che renda possibile la coinciliazione dei requisiti tecnici, funzionali ed conomici.
Il design non è soltanto questo, o meglio comprende un range più ampio di elementi quali siti web, app come ad esempio i social media. In sostanza tutto ciò che vediamo e con cui abbiamo a che fare ogni giorno ne è intrenseco.
Ma il design a cosa mira?
Il caso Instagram: l’obiettivo dell’app sono le informazioni reperite tramite gli hashtag condivisi, i mi piace e le interazioni. L’assuefazione dell’utente è un bene primario per la piattaforma, in modo da ottenere piu dati personali possibili e la visione delle pubblicità. Faranno di tutto per renderti dipendente.
L’esperienza utente è strutturata in modo da agire su meccanismi di ricompensa e piacere aumentando i livelli di dopamina nel cervello2 3 4.
Perché fotografiamo quello che mangiamo e lo pubblichiamo nella storia? Perché quando compriamo qualcosa dobbiamo renderlo noto a tutti? La risposta a entrambe le domande è la validazione sociale, bisogno detto fondamentale dal celebre neuroscienzato B. J. Fogg su cui Instagram basa la propria riuscita: l’uomo necessita dell’approvazione altrui e likes, commenti, numero di followers, reactions alle storie costituiscono un mezzo perfetto.
Tutto ti sembra modellato apposta per te, e lo è!
Il design è un elemento positivo soltanto per il consumismo? Dipende, ma spesso e volentieri, purtroppo, vengono utilizzati i così detti “Dark patterns”, pratiche che giocano con il nostro cervello e ne sfruttano limiti ed errori automatici per manipolarci a fini commerciali.
I dark pattern5 6sono molto diffusi su social media, motori di ricerca, siti di e-commerce, applicazioni e videogiochi.
Vediamone alcuni tipi:

  • Influenza sociale, le persone sono influenzate da atteggiamenti altrui ( prendi come esempio Booking che ti “informa” sulle visualizzazioni che l’hotel ha già ricevuto nel breve periodo ).
  • Scarsità, tendiamo a dare più importanza a beni scarsamente reperibili ( il sito di e-commerce ti comunica che l’articolo desiderato sta per terminare ).
  • Urgenza, in questo caso viene sfruttata la paura del possibile cliente di perdere un’opportunità, ossia sconti e offerte limitate nel tempo.

Tutto ciò a cosa porta?
A consumismo sfrenato.

COSA POSSIAMO FARE?

Arrivati a questo punto tutti ci chiediamo se ci siano o meno soluzioni di fronte a un problema che sembra più grande di noi stessi, anche se in passato abbiamo già provato ad affrontarlo nell’articolo “Se i social ci aiutassero a diffondere amore“.
Il Center for Human Technology7 prova costantemente a illustrare e fornire nuovi approcci a un social media environment che definisce esso stesso “broken”.
Innanzittutto espone prima il problema e lo analizza attraverso 4 linea guida:

  1. Impara perché le tech companies vendono la tua attenzione e comportamento ad altri.
  2. Impara come i prodotti dei social media ti manipolino al fine di ottenere la tua attenzione e cambiare il tuo comportamento.
  3. Come i social media riescano a tenerti costantemente in pugno.
  4. Impara quali sono i danni che la cosidetta persuasive technology ha generato.

Una volta compresa la situazione, humantech sprona all’azione attraverso altre 3 linea guida:

  1. Racconta la tua social media story.
  2. Cambia in modo significativo il modo in cui usi i social media impegnandoti nel raggiungere determinati obiettivi.
  3. Immagina come possa in un mondo migliore la humane technology operare attivamente per il bene comune ottenendo quindi cambiamenti duraturi nel tempo.

Infine, una soluzione che diffondiamo è quella di valutare l’uso piattaforme open source, che non seguono le logiche del mercato e sono disegnate in modo da essere trasparenti e offrire effettivamente un servizio alla collettività.

Puoi divertirti a scoprire alternative open source ai più classici servizi web sul sito lealternative.net!

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