Non possiamo permetterci il Doomerismo

Di Rebecca Solnit

L’altro giorno Mark Z Jacobson, professore di ingegneria presso l’università di Stanford ed esperto di energia rinnovabile, ha twittato, “Dal momento che gli scienziati che studiano impianti di energia rinnovabile al 100% sono unanimi nel dire che si può fare, perché sentiamo dire su twitter e in ogni dove da coloro che non studiano sistemi di questo tipo che questi non sono fattibili?” Una percentuale significativa dell’opinione pubblica parla del cambiamento climatico con una strana combinazione di fiducia e disfattismo: fiducia nelle loro posizioni, spesso basate su informazioni inaccurate o superate o forse su nessuna informazione; disfattismo riguardo a ciò che possiamo fare per un futuro vivibile.

Forse ricavano le loro informazioni da altri predicatori della sventura, che prosperano su internet, malgrado i tanti rispettabili scienziati che dimostrano i loro errori.

Si stanno arrendendo in anticipo e ispirano altri a fare lo stesso. Se si dichiara che l’esito è già stato deciso e che abbiamo già perso, si strappa via la motivazione a partecipare – e naturalmente se non facciamo niente, ci accontentiamo dell’esito peggiore.

Sembra spesso che le persone si stiano impegnando più a cercare prove della nostra sconfitta, di quelle che dimostrano che possiamo vincere. Gli avvertimenti sono importanti, dati con consapevolezza che c´è qualcosa che possiamo fare per evitare l’esito previsto; le profezie danno per scontato che il futuro sia già scritto e che non ci sia niente che possiamo fare. Ma i disfattisti descrivono spesso un presente, che, a loro dire, racchiude gli esiti peggiori. 

Questa settimana, qualcuno mi ha detto che era “arrabbiata per il rifiuto di riconoscere ciò che sta accadendo al pianeta da parte delle persone” equando le ho mostrato un paio di sondaggi che indicavano che nel 2023 “Quasi sette su dieci americani (69%) erano favorevoli ad un percorso per far sì che gli Stati Uniti diventino carbon neutral entro il 2050” e che nel 2021 “tre quarti (75%) degli adulti in Gran Bretagna hanno affermato di essere preoccupati dell’impatto del cambiamento climatico” si è spostata a lamentarsi della scarsa leadership e dei negazionisti climatici. Mi è parso che volesse essere arrabbiata con gli ostacoli, e che se se uno fosse stato rimosso, lei ne avrebbe trovati altri, lei ne trovasse di altri.

Lo scienziato climatico Zeke Hausfather ha recentemente detto alla giornalista Shannon Osaka “Si può dire che recentemente molti di noi climatologi hanno passato più tempo a discutere con i catastrofisti che con i negazionisti”, per una storia del Washington Post intitolata “Perché i catastrofisti climatici stanno rimpiazzando i negazionisti climatici”. Le persone che diffondono visioni disfattiste hanno molto più impatto dei negazionisti completi, non da ultimo perché i negazionisti sono di destra e la destra è già fedele all’immobilismo climatico. I catastrofisti scoraggiano le persone che altrimenti potrebbero agire, così vanno incontro al peggior esito che dicono di temere. Ci si potrebbe aspettare che siano più silenziosi nella loro demotivazione, ma molti di loro sembrano avere una passione evangelica nel reclutare altri discepoli.

Lo stesso giorno che mi è stato detto che alla popolazione non si interessa, alcune altre persone mi hanno detto che “i media non parlano” della crisi climatica. Questa era una posizione ragionevole cinque o dieci anni fa, ma non al momento. I giornali principali, con il loro entusiasmo per le visioni cupe, le ipersemplificazioni di notizie climatiche articolate, e diversivi come la falsa rivoluzione energetica dello scorso autunno, non stanno svolgendo il loro lavoro come vorrei. Ma stanno parlando del clima. Ci sono state, per esempio, varie storie riguardanti il clima sulle Prime Pagine del Washington Post e del New York Times quel giorno.

Un’altra persona ancora si è lamentata con me quel giorno, “E’ difficile restare speranzosi quando il New York Times ci dice di non preoccuparci e di fare un riposino,” facendo riferimento ad una storia nel Times riguardo alle sieste spagnole come modo di affrontare il caldo, ma quando sono andata a controllare quella storia era raggruppata sulla pagina web insieme a numerosi servizi dal tono graveriguardo all’estremo calore attuale e all’emergenza climatica. Ci sono tante cose sbagliate con il New York Times, ma il giornale stava parlando della situazione climatica seriamente quel giorno.

Molte cose che erano vere una volta – che non avevamo soluzioni adeguate, che la popolazione non era abbastanza informata o coinvolta – non lo sono più. L´informazione obsoleta è disinformazione, e la situazione climatica è cambiata molto negli anni recenti.  La condizione fisica del pianeta – come dimostrano il caldo estremo di questa estate e le inondazioni e gli incendi colossali in Canada e in Grecia – ha continuato a peggiorare; le soluzioni hanno continuato a migliorare; la popolazione è molto più coinvolta; il movimento climatico è cresciuto , anche se naturalmente ha bisogno di crescere molto di più; e ci sono state alcune vittorie significative così come un crescente cambiamento di un panorama energetico in evoluzione. 

La maggior parte delle notizie positive sul clima non prendono click, e di solito si trovano su riviste tecniche, tweet di scienziati o policymakers, o servizi di informazione specifica sul clima. Spesso si parla di modifiche incrementali, come il maggiore utilizzo di solare e eolico e il minore sfruttamento di combustibili fossili per generare elettricità. O si discute di leggi, cose tecniche come nuovi tipi di batterie o miscele meno inquinanti per il cemento, oppure spiega sondaggi che mostrano che la maggioranza delle persone supporta azioni contro la crisi climatica. Per lo più ci dicono che abbiamo la capacità, o sempre maggiori capacità, di fare ciò che potrà contenere la crisi. Sono report su questioni in via di sviluppo, mentre il pubblico spesso vuole i voti finali, per sapere come andrà a finire la storia. Non sappiamo i voti finali perché li stiamo decidendo ora.

Molte persone in questa società preferiscono la certezza, e mentre ovviamente è stolto essere sicuri che vinceremo, per qualche motivo la certezza che perderemo non è sottoposta a giudizi simili. Questa certezza che non ce la faremo sembra derivare in parte dalla presunzione che il cambiamento arrivi in modi prevedibili, e perciò conosciamo il futuro, o che i punti di non ritorno siano solo ambientali e non anche sociali e tecnologici. 

Ma, come nota la think tank Carbon Tracker “La curva ad S è un fenomeno noto e ben stabilito, per il quale una nuova tecnologia raggiunge un certo punto di non ritorno catalitico (solitamente il 5-10% del mercato), essa raggiunge poi velocemente una percentuale alta del totale del mercato stesso (solitamente >50%) entro pochi anni dopo aver raggiunto tale punto. I pannelli solari, pale eoliche e batterie agli ionil litio hanno già seguito negli scorsi anni queste curve. Ognuna di queste tecnologie ha diminuito il proprio costo di più del 90% negli ultimi vent’anni. E la loro crescita ha seguito il modello della Curva ad S.”

Il cambiamento spesso e volentieri non è lineare, ma esponenziale o imprevedibile, come un terremoto che rilascia secoli di tensione tettonica.
I grandi cambiamenti iniziano piano, e la storia è piena di sorprese.

Non so perché così tante persone pensano che sia loro dovere spargere così tanto sconforto, ma questa cosa sembra nascere da una confusione fra sentimenti e fatti. Continuo a dire che rispetto la disperazione come sentimento, ma non come strumento di analisi della nostra situazione. Ci si può  sentire sicuramente devastati dalla situazione e comunque non dare per scontato che questo preannunci il risultato: è possibile avere e rispettare i propri sentimenti contrastanti, ma comunque andare a caccia di informazioni da fonti affidabili, e i fatti ci dicono che il problema non è l´opinione pubblica; l’industria dei combustibili fossili e altri interessi personali sono il problema; che abbiamo le soluzioni a portata di mano, sappiamo cosa fare, e che gli ostacoli sono di natura politica, che quando combattiamo qualche vittoria la portiamo a casa e che il futuro lo stiamo decidendo solo oggi.

Ogni tanto mi chiedo se questo accada perchè le persone pensano che non si possa avere il cuore spezzato e rimanere speranzosi, ma certo che si può.
Quando è tutto a posto, la speranza è inutile. La speranza non è felicità o fiducia o pace interiore; è un impegno nella ricerca di possibilità.
I sentimenti devono essere pienamente rispettati, ma tutto ciò che ci dicono è come ci sentiamo noi. La storia è piena di persone che hanno combattuto in condizioni disperate e terribili, come ora in Ucraina e nelle Filippine.
Alcuni hanno vissuto abbastanza per vedere i cambiamenti portati da questa lotta.
Forse è questo ciò che intendeva Antonio Gramsci con “Pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà”.

A volte penso che se perderemo la battaglia sul clima, sarà dovuto in gran parte a questo disfattismo tra le persone che vivono  a proprio agio nel nord del mondo, mentre le persone nelle comunità in prima linea continuano a combattere fino all’ultimo per la sopravvivenza. Ecco perché combattere il disfattismo è attivismo climatico.

 

 

(Traduzione di Diego Vidale e Margherita Quarta del gruppo di lavoro di Fridays For Future Italia. Articolo originale del 26/7/23 pubblicato da The Guardian)

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