Manifesto regionale Friuli-Venezia Giulia

Manifesto Regionale FVG

Questo manifesto raccoglie le principali richieste di Fridays For Future Gorizia, Carnia e Trieste alla politica regionale e locale, questi provvedimenti sono le più logiche risposte a ciò che la comunità scientifica ci sta dicendo da anni e che la Regione FVG continua ad ignorare.

Ci rivolgiamo direttamente alla Giunta Regionale affinché attui tutto ciò che è di sua competenza per contrastare la crisi climatica e mitigarne gli effetti.

Come gruppi abbiamo individuato alcuni temi da portare avanti, ciononostante, il manifesto è in continuo aggiornamento e aperto a modifiche e consigli da parte delle comunità locali e dell’intera popolazione.

INDICE DEI CONTENUTI

I punti non sono in ordine di importanza.

TRASPORTI E MOBILITÀ

In Italia il settore dei trasporti è responsabile del 25% delle nostre emissioni annue di gas serra, e siamo secondi in Europa per numero di auto pro capite.

Per ridurre drasticamente le emissioni è prioritario, dunque, intervenire in questo ambito.

Nell’affrontare questo tema, non è sufficiente sostituire tutte le auto attualmente in circolazione con auto elettriche, visto che anche queste hanno un notevole, per quanto inferiore a quello delle auto a combustione, impatto ambientale, in particolare nelle fasi di produzione e smaltimento delle batterie. Serve ridurre il parco auto in circolazione incentivando molto la mobilità sostenibile. Meno auto, insomma, e quelle poche elettriche.

Serve garantire davvero a tutti i cittadini il diritto alla mobilità: non sono sufficienti misure tampone come abbonamenti ridotti a studenti e over 65, TPL e treni regionali devono essere gratuiti, in modo che spostarsi in treno o in bus sia più conveniente e piacevole che farlo in automobile.

È necessario elettrificare tutti i mezzi pubblici, migliorare la capillarità del servizio con più corse nelle aree più isolate della Regione, e potenziare le linee ferroviarie locali, come la linea Sacile-Gemona, ancora non elettrificata, e la linea Udine-Cervignano, ancora a binario unico. A Trieste sfruttare i binari già esistenti per creare una sorta di metropolitana leggera potrebbe essere molto utile per decongestionare il traffico e abbassare le emissioni. Puntare invece ancora su progetti come l’Alta Velocità tra Redipuglia e Trieste, che avrebbe un grandissimo impatto sull’habitat carsico e sui suoi abitanti, sarebbe un’inutile follia.

Soprattutto in contesti urbani, inoltre, si deve favorire la circolazione in bicicletta, con più piste ciclabili accessibili e sicure e con accorgimenti come più zone 30, in modo che quella ciclabile sia davvero un’opzione praticabile per gli spostamenti a breve e medio raggio.

PREVENZIONE INCENDI

Negli ultimi anni nel nostro territorio gli incendi stanno diventando sempre piu’ frequenti e distruttivi, e questa tendenza è destinata a proseguire e ad accentuarsi nei prossimi decenni con l’aumento delle temperature e le fasi di siccità sempre piu’ frequenti. Serve quindi agire per cercare dove possibile di prevenirli o comunque di limitarne l’impatto. 

In regione l’area più colpita dagli incendi è la zona carsica monfalconese, dove in estate l’erba e gli arbusti secchi e alti sono spesso il combustibile ideale per scatenare le fiamme.  Spesso questa vegetazione arriva a ridosso della linea ferroviaria Venezia-Trieste (in particolare tra Sistiana e Monfalcone) o di infrastrutture energetiche. L’anno scorso, proprio da qui , dalla ferrovia e dall’elettrodotto di Cerje, in Slovenia, sono partiti due incendi catastrofici. Per questo motivo,è necessario pensare a delle barriere intorno alla linea ferroviaria Ve-Ts e sfalciare costantemente l’erba intorno alla ferrovia, alle arterie stradali della zona, e alle infrastrutture energetiche. Sapendo inoltre che l’area del Carso monfalconese è molto a rischio, bisognerebbe aumentare il numero dei Vigili del Fuoco e dei Canadair dislocati in zona, per intervenire con prontezza in caso di emergenza.  

Per consentire il pronto intervento anche nel cuore dei boschi, bisogna provvedere alla costante manutenzione delle “strade tagliafuoco” e a crearne di nuove. 

Per quanto riguarda la ripiantumazione nelle aree andate bruciate, puntare su specie autoctone carsiche, più resistenti agli incendi, ed evitare invece di ripristinare i pini neri, diffusi artificialmente in zona nel secolo scorso, e che bruciano molto facilmente, renderebbe molto più difficile il verificarsi di incendi così potenti. 

FONTI FOSSILI

La crisi climatica ormai incombente richiede di procedere con urgenza verso la decarbonizzazione adottando soluzioni credibili per ridurre l’emissione di CO₂, eliminando completamente l’utilizzo dei combustibili fossili, gas naturale compreso.

CENTRALE A2A.

La Centrale Termoelettrica di Monfalcone è ubicata lungo la sponda orientale del Canale Valentinis e sorge su di una area di superficie di circa 30 ettari.

Le sezioni 1 e 2, alimentate sia con carbone sia con gasolio per la fase di avviamento, hanno una potenza rispettivamente di 165 e 171 MW (336 MW complessivi) e sono entrate in esercizio rispettivamente nel 1965 e nel 1970.

A partire dal 2013 sono stati effettuati, nell’area Monfalconese, numerosi studi ambientali, sanitari ed epidemiologici da parte di Regione, ARPA, Sistema Sanitario Regionale e Università: campagne di monitoraggio dei metalli, valutazione dell’impatto sulla qualità dell’aria della Centrale A2A, confrontando i valori a centrale accesa e quelli a centrale spenta, una campagna di biomonitoraggio sui licheni, due studi epidemiologici sull’incidenza dei tumori nelle donne della Provincia di Gorizia. Quel che ne deriva è, sostanzialmente, un quadro che attribuisce le varie forme di inquinamento a plurime fonti di emissione (attività industriali, attività portuali, traffico veicolare, centrale termoelettrica…), mettendo in evidenza alcune criticità in una situazione che, di norma, rispetta i limiti previsti per i singoli inquinanti. 

In ogni caso, sottolineato che tutto ciò non tiene conto dell’emissione di CO₂, responsabile primo della crisi climatica in atto anche nella nostra Regione, va evidenziato che il dibattito si è concentrato sulle pur importanti ricadute sulla salute, meno del futuro industriale dell’area che, al 2025, rischia di lasciare una profonda ferita sul substrato socioeconomico del territorio.

Cosa chiediamo? Riconversione totale della centrale a fonti non inquinanti, riconvertendo anche il lavoro delle persone senza alcun tipo di licenziamento. In seguito, una bonifica del sito. L’intero progetto dovrà essere sviluppato come un’area di mitigazione ambientale, atta al contenimento degli effetti della crisi climatica ed alla riqualificazione paesaggistica.

OLEODOTTO TRANSALPINO.

La SIOT, Società Italiana per l’Oleodotto Transalpino, facente parte del gruppo TAL (partecipata di ENI, Shell, BP, Total) gestore dell’oleodotto che, partendo da San Dorligo della Valle nella provincia di Trieste e attraversando poi tutta la regione, trasporta il greggio prima in Austria e poi fino in Germania, ha ottenuto l’autorizzazione dalla Regione per il progetto di realizzazione di quattro centrali elettriche a metano finalizzate all’alimentazione del suo impianto: a questo noi ci opponiamo.

Nello specifico le centrali verrebbero poste nei comuni di San Dorligo della Valle, Reana, Cavazzo Carnico e Paluzza, per alimentare le corrispondenti quattro stazioni di pompaggio che fanno scorrere il petrolio attraverso l’oleodotto. Ognuna di queste andrebbe a consumare ogni anno 14 milioni di metri cubi di metano producendo 28.000 tonnellate di CO₂, però stando all’operazione di greenwashing dell’azienda, tutto questo verrebbe fatto in un’ottica di efficientamento energetico con un conseguente taglio di emissioni. Ciò si otterrebbe attraverso l’utilizzo di un sistema di cogenerazione ad alto rendimento che sfrutterebbe il calore residuo dal processo di generazione dell’elettricità per riscaldare il greggio e facilitarne così il pompaggio. Peccato però che questa teoria sia stata smentita dai calcoli dell’autorevole Agenzia Per l’Energia (APE) del FVG, quando è stata interpellata dai cittadini di Paluzza attraverso il Comune. 

Non è stata neanche adeguatamente consultata la cittadinanza e i portatori d’interesse, chiamati ed esprimere un’opinione solo a decisione presa e le cui rimostranze al progetto non sono state minimamente ascoltate dall’assessore regionale per l’ambiente. 

Vista l’inutilità tecnica dell’opera nel ridurre le emissioni di CO₂, peggiorata inoltre dalla produzione di dannosi gas inquinanti e di inquinamento acustico, viene a questo punto da chiedersi quali potrebbero essere i suoi benefici? La risposta sono le positive ricadute economiche del progetto a favore della multinazionale che potrebbe richiedere i certificati bianchi, contributi statali finanziati da fondi pubblici per i progetti di cogenerazione. Senza contare inoltre la possibilità per la società di stipulare accordi per forniture del metano ad un prezzo agevolato che le consentirebbero di produrre l’elettricità ad un prezzo inferiore rispetto a quello di acquisto dalla rete elettrica regionale, che ricordiamo ha nel suo mix energetico anche fonti rinnovabili come nel caso di Cavazzo Carnico dove le pompe dell’oleodotto sono alimentate dalla centrale idroelettrica lì presente.

Quindi senza interpellare la cittadinanza coinvolta e senza che vi siano delle ricadute positive sulle comunità interessate dal progetto, la Regione ha autorizzato il finto progetto ecologico di una multinazionale che si andrebbe ad arricchire ancora di più producendo CO₂ ed inquinamento, il tutto sovvenzionato con i nostri soldi pubblici? Riteniamo tutto questo inaccettabile.

Chiediamo quindi alla Regione che vengano revocate le autorizzazioni al progetto,  aprendo un tavolo tecnico che, calcoli alla mano, finalmente faccia luce su questa operazione di greenwashing. Tenendo a mente per il futuro che non sarà attraverso nuovi progetti fossili che si raggiungerà l’obiettivo regionale della neutralità carbonica al 2045, persino più ambizioso degli impegni italiani ed europei che si prefiggono di arrivarci al 2050.

PERSONE IN MOVIMENTO

La sempre più sfrenata globalizzazione che sfrutta i territori del cosiddetto “sud globale” destabilizzando l’economia e parallelamente la mancanza di tutele e diritti in quei paesi, sta spingendo un numero crescente di persone a lasciare le loro terre, in cerca di un futuro migliore e/o sicuro.

La crisi climatica amplifica e spesso dà proprio il via a questo fenomeno attraverso eventi estremi come siccità o alluvioni, che creano ancora maggiori difficoltà economiche. 

Trieste, città di confine, è uno dei punti di arrivo per chi percorre la rotta balcanica, un tragitto arduo e pericoloso che ha visto migliaia di rifugiati affrontare immani difficoltà. Tuttavia, una volta giunti nella nostra città, queste persone si trovano spesso di fronte a nuove barriere, tra cui la mancanza di alloggi adeguati e sicuri.

Recentemente, lo sgombero del Silos ha lasciato molte di queste persone senza un tetto, aggravando una situazione già critica. Il Silos rappresentava uno dei pochi ripari temporanei per i migranti, e il suo sgombero ha esposto ulteriormente queste persone a condizioni di vita disumane. 

Come cittadini e attivisti, crediamo fermamente che la risposta debba essere l’apertura di nuove strutture che garantiscano un’accoglienza dignitosa.

Chiediamo al comune di Trieste di aprire la struttura di via Gioia, che potrebbe fornire un rifugio sicuro e stabile per coloro che ne hanno disperatamente bisogno e che è già adeguatamente fornita. 

In un’ottica di giustizia sociale e climatica, è imperativo che le politiche di accoglienza considerino le intersezioni tra crisi ambientale e migrazioni forzate. 

Non possiamo non parlare del Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) di Gradisca d’Isonzo che rappresenta una ferita aperta nel nostro sistema di accoglienza e gestione dei migranti, non offre alcuna soluzione, anzi, perpetua un ciclo di esclusione e sofferenza che contribuisce ad aggravare la vulnerabilità delle persone migranti, spesso già colpite dagli effetti devastanti della crisi climatica.

La detenzione amministrativa nei CPR non risolve le questioni legate alla migrazione, ma le nasconde e le marginalizza. Le condizioni in cui i migranti sono costretti a vivere all’interno del CPR di Gradisca d’Isonzo sono spesso precarie, con accesso limitato a servizi sanitari e assistenza legale, e una mancanza cronica di trasparenza e supervisione. Invece di investire in soluzioni detentive, dovremmo promuovere politiche di accoglienza che rispettino la dignità umana. 

Chiediamo la chiusura immediata del CPR di Gradisca d’Isonzo e l’implementazione di politiche di accoglienza basate su principi di equità, sostenibilità e rispetto dei diritti umani. Proponiamo l’apertura di centri di accoglienza diffusa, che integrino i migranti nelle comunità locali, fornendo loro supporto e opportunità di integrazione. 

Solo attraverso un approccio integrato e rispettoso possiamo affrontare efficacemente le sfide della migrazione e della crisi climatica.

TURISMO SOSTENIBILE

Il turismo di massa, sia estivo che invernale, è un disastro per i territori e le comunità locali, spesso costrette a subire prevaricazioni, espropri, e danni per l’esclusivo profitto di qualcun’altro. Pensiamo alle nostre Alpi, dove nonostante la siccità, l’aumento delle temperature e la diminuzione costante delle nevicate, si continua a puntare su piste da sci,anche a bassa quota, cannoni spara neve e impianti di risalita. Scelte che pregiudicano l’ambiente montano e le risorse idriche, entrambi già messi fortemente sotto pressione dai cambiamenti climatici. Pensiamo anche alle nostre coste, dove per qualche turista in più si è pronti a cementificare, costruire, fare di tutto: a Trieste, anche costruire una cabinovia e trasformare la città in un parcheggio per navi da crociera(tra l’altro in un giorno una nave da crociera inquina come gli abitanti di una grande città che si spostano in automobile); 

Vogliamo che al centro dell’agenda pubblica ci siano la tutela delle persone e dell’ambiente, che si investa sui servizi pubblici e sulla riqualificazione degli ecosistemi degradati. Vogliamo che si punti su un modello di turismo diverso da quello di massa, che sta distruggendo i nostri territori. Ciclovie, parchi nazionali, itinerari gastronomici e storici possono dare prospettive turistiche al nostro territorio in modo sostenibile, senza snaturarlo.

SICCITÀ

La siccità non è finita, anzi è appena iniziata e questo è solo un assaggio di ciò che succederà se la Regione e i governi non attueranno misure di contrasto alla crisi climatica Il tema delle risorse idriche dovrebbe essere in cima all’agenda dei decisori politici, serve una pianificazione a lungo termine e di ampio respiro sugli usi della risorsa acqua, sulla sua protezione e preservazione. Da vent’anni le falde continuano ad abbassarsi, anche per l’eccessivo e incontrollato uso della risorsa idrica. L’Amministrazione regionale sta affrontando questo grave problema di spreco di acqua demandando alla libera iniziativa dei cittadini e dei Comuni la diminuzione dello spreco stesso. Come ci suggerisce Legambiente, è evidente la necessità di un aggiornamento del censimento dei pozzi domestici esistenti, per avere un quadro conoscitivo il più possibile preciso e poter agire di conseguenza per eliminare gli sprechi. Servono urgenti norme generali e tecniche per la chiusura dei molti pozzi in specifiche condizioni di criticità, dei pozzi a getto continuo ingiustificato e regolazione degli altri, insieme a norme generali e tecniche per l’apertura di nuovi pozzi. Alcune azioni per una gestione efficiente e sostenibile sono già focalizzate nel Piano Regionale di Tutela delle Acque, questo piano, inoltre, dovrebbe essere aggiornato e coordinato con quello di Mitigazione e Adattamento ai Cambiamenti Climatici, con particolare riguardo alla gestione degli eventi estremi che si stanno facendo sempre più frequenti. Servono dati su qualità e contaminazione, sugli impatti ambientali e scenari di previsione. Bisogna adottare sistemi per ridurre gli sprechi, utilizzare responsabilmente e in modo sostenibile le risorse nel settore agricolo e industriale. I sistemi acquiferi profondi (generalmente quelli oltre 250-300 m di profondità) non dovrebbero essere toccati, perché rappresentano la risorsa potabile strategica per il futuro. Così pure, per le acque superficiali, nuovi progetti di derivazione. 

La crisi climatica impone ai decisori politici uno sguardo lungimirante, per evitare il peggio. Il senso del limite nell’uso delle risorse naturali deve essere un pilastro nelle politiche pubbliche. 

ALLEVAMENTI

Dal mare alle montagne del FVG migliaia di individui vengono uccisi ogni anno in nome di un sistema alimentare inquinante, climalterante, inefficiente e dannoso per la salute. I pesci che vengono pescati in Adriatico sono pieni di Mercurio e microplastiche, gli allevamenti intensivi emettono grandi quantità di ammoniaca, metano e polveri nell’aria, inquinano le falde acquifere e con il loro apporto causano l’eutrofizzazione degli ambienti costieri. È conclamata ormai la stretta relazione fra allevamenti e pandemie, salumi e carni rosse sono notoriamente cancerogene (OMS). Da sole le emissioni climalteranti dell’industria zootecnica porterebbero inevitabilmente al superamento della soglia degli 1.5 gradi di riscaldamento globale. Se si passasse ad un sistema alimentare a base vegetale, grazie anche alla riforestazione dei terreni, si abbatterebbe ben il 68% delle emissioni (Eisen & Brown, 2021), oltre a restaurare ecosistemi perduti. Mentre grandi città europee come Edimburgo si fanno capofila di iniziative come il Plant Based Treaty, in Italia e in Friuli Venezia Giulia si va nella direzione opposta. È necessario l’immediato stop dei sussidi all’industria zootecnica, che, oltre a mascherare del tutto le elevatissime esternalità ambientali, mascherano anche i costi reali di questo sistema crudele e inefficiente. Occorre urgentemente condurre uno studio dettagliato sugli impatti dell’industria zootecnica, promuovere una campagna di sensibilizzazione, includendo menù  interamente vegetali nelle mense nelle strutture pubbliche e non solo, e vietare ogni iniziativa di espansione del settore, comprese le pubblicità come per l’industria del tabacco.

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