di Eric Holthaus
Ciao,
Sto scrivendo da St Paul nel Minnesota. La nostra città vicina, Minneapolis, questa sera è in tumulto. Sento i fuochi d’artificio e gli spari di lacrimogeni contro i manifestanti pochi chilometri più in là. Sono indignati perché la polizia ha ucciso un uomo di colore disarmato, George Floyd. Floyd è stato ucciso da un poliziotto bianco che gli si è inginocchiato sul collo per almeno sette minuti mentre era a terra ammanettato e a faccia in giù. Floyd ha detto ripetutamente: “Non riesco a respirare. Non riesco a respirare”. La stessa pioggia che sta cadendo sugli edifici in fiamme dall’altra parte del fiume sta innaffiando il giardino che ho piantumato con i miei bambini poco fa.
I fatti di oggi sono l’esito di processi centenari.
L’indignazione a Minneapolis in questo momento riguarda soprattutto le disparità. Fin dalle sue origini, questa città è stata spartita seguendo criteri razziali, a cominciare dall’espulsione e sterminio del popolo degli Anishinaabe, le cui terre occupiamo ancora oggi. Cento anni fa, all’indomani della Grande Depressione, le banche e i funzionari della città hanno mantenuto un sistema razzista di “redlining”, di divisione in distretti discriminati, creando interi quartieri in cui agenzie immobiliari e imprese non potevano accedere ai crediti e dove la povertà persiste ancora oggi. Nelle scuole del Minnesota, di cui Minneapolis è la città principale, i ragazzi di colore presentano il maggiore tasso di lacune nell’apprendimento dell’intero paese.
Il cambiamento climatico è un problema di razzismo perché il sistema che lo ha causato è razzista. No, ai temporali non importa nulla del colore della pelle, ma il peggioramento delle condizioni climatiche in tutto il mondo aggrava le divisioni sociali preesistenti perché colpisce più duramente le persone di colore che vivono in condizioni di povertà. In poche parole: il motivo per cui il mondo non sta combattendo il cambiamento climatico con l’urgenza necessaria è che coloro che detengono il potere non intendono smettere di sfruttare le persone di colore. L’urgenza di agire per il cambiamento climatico è anche l’urgenza di agire per la giustizia razziale.
Gli afroamericani sono stati portati in questo Paese come schiavi quattrocento anni fa e da allora continuano a morire con tassi molto più elevati della media. È sugli afroamericani che grava il maggior peso dell’era dei combustibili fossili, muoiono a causa dell’inquinamento dell’aria, a causa del cancro per l’esposizione a sostanze chimiche tossiche, e a causa delle intemperie con tassi superiori alla media nazionale. E il sistema è congegnato per mantenere questa disuguaglianza. Gli afroamericani vengono uccisi dalla polizia a un tasso che è più di due volte superiore a quello degli americani bianchi. Più di due volte superiore è anche il tasso al quale gli afroamericani muoiono di Covid-19 rispetto agli americani bianchi.
Il nostro sistema sociale ed economico è progettato di proposito per non essere equo. È stato creato per estrarre valore dal mondo naturale a beneficio di determinati gruppi di persone. Per questo motivo Christian Cooper, un birdwatcher di colore, è stato percepito come una minaccia a Central Park.
Gli oneri di questo sistema gravano in modo diseguale: gli afroamericani, le persone di colore, le donne e gli uomini indigeni e i gruppi emarginati di ogni tipo pagano con la loro vita per garantire i comfort delle persone al potere. Persone come me – bianchi, privilegiati, cisessuali, maschi – hanno progettato questo sistema a proprio vantaggio. Funziona esattamente come previsto.
Il cambiamento climatico è un sintomo, un’espressione dello stesso sistema di disparità. È la negazione del diritto di esistere, riportato su scala planetaria. È una conseguenza dello stesso sistema, gestito da persone che considerano l’Africa come una risorsa per l’espansione imperialista, non come un continente abitato da milioni di famiglie che meritano salute, sicurezza e felicità come tutti. È quel che succede quando la vita di persone emarginate e di specie non umane sono considerate sacrificabili. Questa sacrificabilità, e l’accurata protezione di questo sistema, sono frutto di scelte intenzionali. Non è affatto inevitabile o necessario: chi è al potere sceglie di confermarlo ogni giorno.
Queste verità forse sono dure da leggere, ma è ancora più duro guardare una persona amata morire per strada con un ginocchio che gli strozza la gola.
La risposta a tutto questo ovviamente non è facile, ma qualsiasi approccio deve includere l’antirazzismo al suo centro. L’antirazzismo, cioè il lavoro attivo per sostituire il sistema attuale con qualcosa che possa riparare i danni del passato e ridistribuire il potere in modo significativo a favore delle persone di colore, è d’obbligo per tutti, in questa emergenza climatica, soprattutto per coloro che traggono i maggiori benefici dallo stato attuale delle cose. Non possiamo combattere il cambiamento climatico senza essere antirazzisti.
La buona notizia è che ognuno di noi ha il potere di esigere che le leggi e le istituzioni razziste vengano rifondate. Per chi oggi lotta per il clima, esigerlo è ancora più importante.
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Eric Holthaus è un meteorologo, ha lavorato anche come climatologo e giornalista per 15 anni soprattutto negli Stati Uniti, nei Caraibi e nell’Africa orientale. Ora vive in Minnesota. Scrive per The Correspondent. Lo trovi su Instagram e Twitter.
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Per gentile concessione dell’autore. Traduzione a cura di FFF Italia.
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