5 febbraio 2020
Intervento integrale di Fridays For Future Italia alla VIII Commissione Ambiente della Camera dei Deputati
di Marianna Panzarino e Giovanni Mori, portavoce di FFF Italia
Quando abbiamo ricevuto questo invito abbiamo riflettuto molto sull’opportunità di essere auditi su un atto di governo così fortemente tecnico, con così poco tempo per prepararci. E ci siamo chiesti se non fosse un invito meramente volto a inserire il nome dei Fridays fra le audizioni, con un velato intento di greenwashing o youthwashing su questi lavori. Tuttavia abbiamo accettato l’invito non solo perché crediamo fortemente nel valore del confronto con le nostre istituzioni, ma anche perché abbiamo voluto affidarci alla vostra onestà professionale per stabilire un dialogo necessario fra istituzioni e società civile su queste tematiche. Ci aspettiamo di poter avviare confronti anche su temi più ampi rispetto a quello in oggetto oggi e su cui ora ci apprestiamo a dare il nostro piccolo contributo.
In linea generale le modifiche apportate al quadro normativo appaiono condivisibili, anche perché vanno essenzialmente ad integrare tale quadro, senza operare revisioni di grande calibro. Tuttavia alcune modifiche ci appaiono anche troppo generiche, come l’aggiunta del comma 7-bis all’art. 271 (d. lgs. 152/2006) che introduce una norma meramente di principio sulla disciplina dell’istruttoria autorizzativi, quando impone di “limitare il più possibile” le emissioni di sostanze cancerogene o tossiche, senza chiederne invece l’azzeramento o al massimo, se questo non fosse possibile dal punto di vista tecnico, quantomeno individuandone un limite specifico da non superare in ogni caso. Parlare di “limitare il più possibile” le emissioni di questo genere di sostanze poteva avere un senso trenta o venti anni fa. Allo stato attuale, invece, non è per niente incisivo né garantista rispetto all’effettiva realizzazione degli obiettivi. Per quanto riguarda invece il sistema di controllo della combustione, è necessario rendere fruibili ai cittadini, pubblicandoli sui siti istituzionali, i dati forniti dal sistema di controllo. È dovere dello Stato garantire accessibilità e trasparenza, che oltre ad ampliare le possibilità di partecipazione, permettono ai cittadini una maggiore consapevolezza sui propri diritti.
Ciò detto, l’invito di oggi ci risulta del tutto deludente rispetto all’oggetto della discussione.
Siamo giovani, liceali o universitari, che hanno deciso di intraprendere questa battaglia a causa della totale inerzia di fronte alla crisi climatica e ciò che chiediamo nelle nostre piazze va ben al di là delle disposizioni integrative e correttive al dlgs 183/2017 di attuazione della direttiva UE 2015/2193 relativa alla “limitazione delle emissioni nell’atmosfera di taluni inquinanti“. Ciò che noi chiediamo è una cessazione di ogni sussidio ai combustibili fossili nel più breve periodo possibile nell’ottica di un piano di decarbonizzazione al 2030. Chiediamo una mobilità pubblica efficiente e capillare, che possa essere una reale alternativa alla mobilità privata. Chiediamo giustizia climatica per tutti i territori che sono, e saranno, più colpiti dagli effetti di questa emergenza. Chiediamo una road-map precisa che porti alla conversione e poi allo spegnimento delle maggiori centrali termoelettriche italiane, e alla loro sostituzione con alternative rinnovabili e accumuli energetici.
Siamo senz’altro felici che ci consideriate un interlocutore valido. Ma ci chiediamo, a questo punto, come mai abbiate pensato di invitarci. Visto che ce lo chiedete, comunque, riteniamo assolutamente marginale il lavoro su questi atti se, contestualmente, il PNIEC italiano contiene ancora ingenti finanziamenti al gas fossile, non riporta informazioni chiare sulla conversione energetica e prevede obiettivi imbarazzanti, come la riduzione del 37% delle emissioni entro il 2030, quando lo stesso Green New Deal – a sua volta insufficiente per rimanere entro l’aumento di 1.5°C – ne prevede il 55%.
Un’ultima considerazione che è indispensabile tenere sempre a mente: i pericoli per la salute e l’ambiente dipendono da diversi fattori. Questi vanno dall’inquinamento da sostanze provenienti dagli impianti medi di combustione, come trattato in questo decreto legislativo, ma anche dal trasporto su gomma, o dal riscaldamento degli edifici, o ancora dall’allevamento e dall’agricoltura intensivi. Se non si interviene su tutti questi fronti con un cambiamento sistemico, non si avvierà mai una vera e concreta lotta alle emissioni inquinanti. Le quali, tra l’altro, sono solo una parte del problema: sull’altra faccia della medaglia infatti troviamo le emissioni climalteranti, che non solo non vengono trattate in questo decreto, ma non trovano spazio neanche in altri dibattiti a livello istituzionale. E siamo qui oggi anche per chiedervi: quand’è che renderete l’emergenza climatica tema prioritario nelle vostre agende?
Oltre a quanto abbiamo proposto inerentemente al tema emissioni inquinanti per questa taglia di impianti, ci piacerebbe fare una breve riflessione di carattere un po’ più ampio – dato che in realtà è tutto molto più interconnesso. È essenziale ad esempio ribadire che le emissioni inquinanti, quelle che uccidono qui ed ora, sono l’altra faccia della medaglia delle emissioni climalteranti che provocano la crisi climatica, crisi che invece comporterà sconquassi inimmaginabili nel giro di qualche anno. E parliamo si, assolutamente, della CO2 derivante da combustione, ma anche di metano e gas fluorurati, i cosiddetti F-GAS – che sono 2000, 3000 o 4000 volte più potenti della CO2. È essenziale regolamentare le emissioni inquinanti. Ma quando è che iniziamo a regolare le emissioni climalteranti, visto che pure il ministro dell’economia Gualtieri ha aderito al Carbon Pricing Leadership Coaliton, per creare una rete di nazioni che stabiliscano un prezzo per le emissioni?
Non sappiamo se lo sapete o avete letto da qualche parte negli ultimi 30 anni, ma siamo sull’orlo di una crisi climatica. L’unica speranza è regolare il mercato, inserire delle regolamentazioni e governare questa transizione. E non lo dicono gli “ambientalisti”, ma ad esempio Christine Lagarde, già nel 2015, ex presidente della Banca Mondiale, ora della BCE. Signori, stiamo rischiando il collasso economico-finanziario prima ancora di quello climatico. E ancora insistete a vederlo come un problemuccio da ambientalisti, da ragazzini perditempo! Rischiamo di trovarci ad una bolla del carbonio di dimensioni globali: Bloomberg – non esattamente l’editore più ambientalista della storia – fa notare come le Big Oil abbiano supposto un prezzo di 75 dollari al barile nel calcolo del loro valore. Peccato che negli ultimi 5 anni la media è stata di 62 dollari, il 18% più bassa. E pensate che nel mondo, da qui al 2030, si vorranno investire più di 1000 miliardi in esplorazione ed estrazione – che rischiano di diventare stranded assets, investimenti assolutamente improduttivi e tolti ad una reale conversione.
Anche noi in Italia abbiamo una grandissima azienda – controllata al 30% dallo Stato Italiano (soldi nostri, quindi) – che, nel piano 2019-2022, prevede che il 77% degli investimenti siano destinati ad esplorazione ed estrazione, al posto di imporre una seria riconversione energetica ed ecologica. Stiamo parlando di ENI – nel caso non aveste colto. E come se non bastasse continuiamo addirittura ad incentivarli. Riceveremo 400 milioni dal Green New Deal, e perdiamo tuttora 472 milioni sulle royalties che non facciamo pagare a chi estrae petrolio e idrocarburi. Per non parlare della totale scomparsa di quel timido, troppo timido tentativo di rivedere gli incentivi ai combustibili fossili: circa 18 miliardi all’anno. Invece no, al solito, è stata creata una meravigliosa commissione che, forse, entro l’anno, deciderà se, come, quando. Le stesse banche centrali francese e inglese hanno ribadito l’estrema urgenza, e cito, di “agire per evitare la catastrofe” e che servirà una “massiccia redistribuzione di capitale”. E solo la politica può farlo. Solo voi. La commissione Ambiente e tutte le altre commissioni.
Ma quanto dovremmo investire? Costerà troppo? Tutto quello che serve. Nel 1966, al picco del programma Apollo per andare sulla Luna, il 5,5% dell’intero budget federale veniva speso lì. E ci lavoravano circa 400.000 persone. Era importante andare sulla Luna. Sembrava una questione di vita o di morte. Eppure non lo era. E non siamo in grado di decidere di spendere qualche punto percentuale del nostro budget per salvare l’unico posto dove possiamo sopravvivere? Altro esempio: seconda guerra mondiale. Nessuno poteva permettersela, eppure non c’era alternativa. Perché ora ci permettiamo di dire che si, boh forse, no, ma è complicato, ci sono tante interconnessioni? Tanto più che il disinvestimento a livello mondiale sta aumentando a livello esponenziale: 10.000 miliardi di disinvestimento a settembre 2019, 11.000 a novembre. Ora siamo a 12.000 miliardi.
È complicato? Certo. Nessuno ha mai detto che sia facile. Sembra tutto assolutamente incrollabile e tutte le nostre economie sembrano intoccabili. Fino a che ad un certo punto non esplode un vulcano, come in Islanda, bloccando le connessioni in europa per giorni, oppure compare un nuovo virus dall’altra parte del mondo, e tutto il pianeta si blocca in 2 secondi. Non sarà facile, ma questo non potrà mai essere un alibi. E soprattutto se verrà considerato solo e unicamente un problema da “ambientalisti”.
Forse penserete che siamo qui per noi stessi. O penserete che siamo qui per un gruppo di ragazzi ambientalisti. O solo per i tantissimi lavoratori che rischieranno il posto di lavoro in questa delicata transizione se non verrà adeguatamente governata. Ma siamo qui invece anche e soprattutto per noi tutti, per voi, per urlarvi che questa crisi climatica riguarderà tutti. E che abbiamo meno di 9 anni per invertire totalmente la rotta. Abbiate il coraggio di guardare in faccia la realtà, e di dire che qualcuno ha molta più responsabilità di altri per tutto il tempo che abbiamo buttato finora. Non anni, ma decenni.
Ponetevi obiettivi ambiziosi, ma soprattutto realizzateli. È l’opportunità più grande che abbiamo: vedere crollare tutto il mondo per come lo conosciamo, oppure creare un mondo migliore. Se una ragazzina di 16 anni seduta fuori da un parlamento è stata in grado di scatenare tutto questo, in meno di un anno, cosa potrebbe fare un parlamentare davvero motivato? O un’intera commissione? O un intero parlamento di una nazione? O un intero continente?
Finché la risposta a queste domande sarà fare ciò che è politicamente possibile, allora non sarà mai minimamente sufficiente. Dovremo essere in grado di fare ciò che è necessario. Siamo di fronte a una svolta della storia. Decidete da che parte stare. C’è un elefante nella stanza – direbbero gli inglesi, rispetto a un problema enorme per il quale si fa finta di nulla. Il problema di questo elefante, signori, è che si sta per sedere sopra di noi.
Buona crisi climatica a tutti.