Sta tornando in voga il nero: nella moda, nella politica, nell’economia. Per il CEO di una colossale compagnia energetica, il nero non è poi così sgradevole. Con l’aggiunta di nuances tra il verde e il blu ricorda il petrolio, quel pantone che detta ciclicamente tendenza e trasforma interi Stati in fashion victims.
È come tornare negli anni ’70, quando la più grande crisi petrolifera della storia si risolse in una grossa svendita. Con l’aumento dei prezzi dell’energia partì una rocambolesca caccia al tesoro, alla ricerca di fonti fossili a basso costo. Gas, nucleare, e tanto petrolio: crollarono i prezzi e aumentarono le estrazioni, per il clima non fu un grand’affare…
Ma la corsa ai saldi definì un nuovo equilibrio mondiale. Oggi la crisi energetica si ripete in uno scenario ben diverso. Il settore energetico è privatizzato, senza pianificazione e senza controllo pubblico sui prezzi. In una parola, vulnerabile. Ministri viaggiano al seguito di amministratori delegati delle multinazionali energetiche, per contrattare l’aumento dei rifornimenti con altri Stati.
La fonte più ricercata del momento non ha colore né pantone: è l’invisibile metano. La variazione nei rifornimenti di gas all’Italia con il conflitto russo-ucraino riflette la rotta di questi viaggi. La location preferita dello shopping italiano del gas è l’Algeria. Dal 2024 l’Italia importerà 9 miliardi di metri cubi di gas algerino in più ogni anno. “Merito” dell’accordo firmato dal presidente della Sonatrach, società petrolifera algerina, e l’AD di Eni, Claudio Descalzi.
Ma ENI come ha stabilito che l’Algeria è un esportatore affidabile? Un’oligarchia militare corrotta tiene le redini del paese, negando alla popolazione i suoi diritti democratici ed economici. Nelle carceri algerine sono richiuse centinaia di prigionieri politici. Il settore dell’oil&gas pesa per il 20 per cento del Pil e i profitti derivanti dall’export energetico sono una delle entrate principali del regime.
Mentre la popolazione manifesta per diversificare l’economia attraverso le energie rinnovabili, le compagnie europee sostengono la supremazia del gas nella politica del paese. Eni sta diventando uno dei più grandi investitori stranieri, con l’obiettivo di rendere l’Algeria un hub europeo del fossile. La strategia energetica dell’Italia invoca il gas in tutti i suoi stati di aggregazione.
Spicca il GNL, Gas Naturale Liquefatto, che oggi sostituisce 7 dei 32 miliardi di metri cubi annui di gas russo da rimpiazzare. Proviene soprattutto da Qatar, Algeria e Stati Uniti, e il trasporto unito ai processi di lavorazione richiedono energia, producono emissioni e ne aumentano il costo. A dicembre 2021, quando i prezzi erano già alti -ma non come nei primi mesi di guerra- il GNL americano costava fino al 50% in più del gas russo. Not a big deal se l’obiettivo è ridurre le spese. Ma evidentemente, l’obiettivo è un altro. Oltre ai due rigassificatori di Piombino e Ravenna, il nuovo governo intende realizzare i rigassificatori di Gioia Tauro, Porto Empedocle e i due sardi.
Se si aggiungono le trivellazioni nel Mare Adriatico, la linea adriatica del gas, il raddoppio del TAP, il gasdotto Azerbaigian-Puglia, e alcuni potenziali progetti tra cui il gasdotto Livorno-Barcellona e l’Eastmed Poseidon, la quantità di gas utilizzato aumenta spaventosamente. Un business vantaggioso per i nostri principali importatori.
“Gas?! Dove stiamo andando non c’è bisogno di gas!” Torniamo alla realtà oltre lo shopping compulsivo. Il phase-out dalle fonti fossili, la decarbonizzazione, il taglio delle emissioni sono obiettivi improrogabili. E per rimediare alla crisi energetica non possiamo mica aggravare quella climatica!
Le energie rinnovabili unite a politiche di riduzione dei consumi consentirebbero all’Italia di sostituire metà del gas che importava dalla Russia nel giro di un anno, e uscire dalla condizione di fashion victim che sta distruggendo il pianeta. Una strategia che sembrerà più semplice se rimuoviamo la patina nera che avvolge la narrazione mainstream della Storia. La mentalità da boom economico con cui era stata affrontata la crisi petrolifera del ‘70 è ormai demodè.
Ma nella varietà di soluzioni proposte in quegli anni non mancarono sperimentazioni interessanti: la Gran Bretagna per ridurre i consumi ha tentato misure di sufficienza energetica a lungo termine, come la settimana breve. È la direzione indicata dall’IPCC verso la giustizia climatica! Il vero MUST have del decennio per i governi di tutto il mondo.
La strada è ancora lunga, ci sono tante soluzioni e tanti tranelli che continueremo a raccontarvi nella prossima puntata. Attenzione a non perderla, è l’ultimo video della serie! Segui subito Fridays For Future Italia.