di Nick Breeze | 16 dicembre 2019
I negoziatori presenti all’annuale vertice COP tenutosi a Madrid non hanno concluso nulla, nonostante gli allarmi giunti da più parti sull’accelerazione della crisi climatica.
I negoziati ONU sul clima a Madrid, COP25, hanno raggiunto davvero pochissimo. Le prolungate sessioni hanno offerto ai paesi petroliferi e più sviluppati l’opportunità di rimuovere dal testo finale dell’accordo i paletti inseriti dai paesi in via di sviluppo.
Come ha twittato il Dr. Saleemul Huq del Bangladesh: “Prolungare di un giorno i negoziati è una tattica dei paesi ricchi e potenti che sanno che i negoziatori dei paesi poveri e vulnerabili non potranno presenziare un giorno in più per difendere i loro punti fermi.”
Dopo ben 25 anni di negoziati, non dovrebbe sorprendere che coloro che difendono interessi di parte proseguono imperterriti nel loro obiettivo di distruggere ciò che rimane del nostro unico pianeta Terra.
Clima al collasso
Di indizi sospetti ce ne sono stati fin da subito. Ad esempio, inizialmente gli impegni nazionali per ridurre le emissioni dovevano chiamarsi “Nationally Determined Commitments”, cioè “impegni determinati a livello nazionale”, ma così sarebbe risultato… troppo impegnativo, per l’appunto.
Quindi gli si cambiò nome in “Nationally Determined Contributions”, cioè semplici “contributi” nazionali, che ricordano più la colletta per la mancia al ristorante che un serio impegno a ridurre il numero delle vite sacrificate a causa di una crisi climatica sempre più grave.
Le aree del mondo che si trovano in prima linea a dover affrontare i cambiamenti climatici più gravi e più estremi sono l’Africa, il Sud-est asiatico e il Sud del mondo, dove vive la maggior parte degli abitanti più poveri e vulnerabili della Terra.
In queste zone si stanno già verificando inondazioni, siccità, incendi e uragani. Per territori come i piccoli stati-isola in via di sviluppo (o SIDS, “Small Island Developing States”), gli effetti sono critici: picchi di marea distruggono le abitazioni, danneggiano l’agricoltura e mietono vittime.
E tutto questo peggiorerà: alcune isole sono già avviate verso la distruzione totale del loro habitat antropico e naturale.
Diritto all’acqua
I rappresentanti di queste nazioni hanno partecipato alla COP con l’obiettivo di ottenere equità e giustizia. I paesi più poveri sono anche quelli che, a livello globale, producono meno emissioni e non sono responsabili della catastrofe incombente che i paesi sviluppati stanno lasciando loro in eredità.
Durante un evento secondario della COP organizzato dall’Institute for Environmental Security, ho potuto registrare un’intervista con il generale Gazhi, ex ministro della Difesa del governo pakistano.
Gazhi ritiene che la crescente penuria di risorse di un paese povero, dove le controversie di frontiera si stanno spostando dal piano ideologico a quello climatico, potrebbe far degenerare rapidamente la situazione in qualcosa di molto più grave.
Quando gli ho chiesto che cosa lo preoccupasse di più riguardo al futuro, mi ha risposto: “Ritengo che la mia preoccupazione più grande, specialmente nell’area in cui vivo, sia l’acqua. Ovvero la riduzione dei livelli di flusso del fiume Indo, da cui dipende la popolazione del mio paese.
“L’attività umana impegnata ad arginare o deviare l’acqua del fiume sta causando sofferenza nella zona ripariale inferiore.
Ghazi ha poi aggiunto: “Questo innescherebbe un conflitto catastrofico, se l’intenzione è quella di causare sofferenza alla zona ripariale inferiore per motivi politici o geopolitici. Vede, quando si viene privati della propria sicurezza e sostentamento, l’opzione che rimane è ricorrere alle armi per riprenderseli! Penso che si potrebbe arrivare a questa soluzione estrema in relazione alla minaccia idrica”.
L’oceano in agonia
L’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) ha presentato un allarmante rapporto sul clima durante la prima settimana del vertice, cui ha fatto subito seguito il rapporto dell’IUCN (Unione mondiale per la conservazione della natura) sulla deossigenazione dei nostri oceani.
Quando ho intervistato uno degli autori principali, il professor Dan Laffoley, gli ho chiesto se il rapporto descrivesse un oceano in procinto di morire. Mi ha risposto: “Siamo davvero nei guai, in guai seri, perché, quando fra 30 anni riguarderemo ad oggi, potremmo renderci conto che la causa delle nostre disgrazie non era un gas solo, ma due.
“Al momento ci concentriamo, giustamente, sull’anidride carbonica nell’atmosfera e sul taglio drastico alle nostre emissioni, perché sono la causa primaria.
“Ma ci dobbiamo anche preoccupare dell’ossigeno presente nell’oceano. Rispetto all’aria, nell’oceano c’è molto meno ossigeno – semplicemente perché un gas disciolto in un liquido si comporta in questo modo – ma quel piccolo quantitativo di ossigeno è necessario per tantissime ragioni.
“Non solo serve come sostegno alla biodiversità e, quindi, ai benefici che traiamo da questa. Se nell’oceano non c’è abbastanza ossigeno, si iniziano a sconvolgere i cicli geochimici di alcuni elementi fondamentali per la vita sulla Terra, come l’azoto, il fosforo e i fosfati. Si tratta, dunque, di un problema reale, concreto.
La buona notizia, se possiamo trovarne una, è che sappiamo cosa dobbiamo fare. Sappiamo che dobbiamo tagliare le nostre emissioni di CO2, sappiamo che dobbiamo evitare che gli oceani diventino troppo ricchi di anidride carbonica e che dobbiamo proteggere quelle parti dei nostri ecosistemi che sono ancora intatti, accrescere quel patrimonio e abbattere così lo stress che sta subendo l’intero ecosistema marino.”
Distruzione
Ho intervistato anche il dottor Peter Carter, un revisore scientifico di climatologia dell’IPCC. Carter ha commentato: “Cosa stiamo facendo per prevenire incendi boschivi, siccità, forti tempeste, potenti uragani e inondazioni? Cosa stiamo facendo per ridurli, almeno? Assolutamente niente!
“Da questa COP non uscirà nulla per quanto riguarda le azioni concrete. Questo è stato deciso il primo giorno. Ho sentito dire che le parti, sotto il controllo dei grandi emettitori, hanno deciso insieme di non cercare di migliorare i loro obiettivi nazionali di emissione.
“Come vogliamo chiamarlo, questo? È un crimine grave, gravissimo! Quello che stanno facendo queste aziende di combustibili fossili che emettono grandi quantità di gas serra è inconcepibile. Papa Francesco, che ha scritto un’Enciclica sull’ecologia un paio di anni fa, l’ha definito un peccato contro Dio. Di recente ha affermato che si tratta di un crimine. Dunque, sul piano morale è diabolico, chiaro?
“I paesi che stanno impedendo di fare progressi in quanto alle emissioni stanno agendo nel modo più malvagio che si possa immaginare.
Stiamo assistendo alla distruzione della Terra, degli oceani e del suolo!”
Un altro mattone
Ho visto lo stesso musicista di strada due volte a Madrid, prima davanti al Prado e poi vicino alla stazione della metro Sol. Entrambe le volte stava suonando Another Brick in the Wall dei Pink Floyd, ma la cantava in spagnolo.
La canzone sembra l’analogia perfetta dei negoziati ONU sul clima. Vedendo circa 500.000 persone che marciano per tutta la città gridando al cambiamento e figure del calibro di Greta Thunberg, la superstar dei giovani attivisti per il clima, che denunciano il comportamento infantile degli adulti che tengono le redini del nostro mondo, viene da chiedersi: chi sono questi anonimi negoziatori senza volto che, anno dopo anno, decretano la morte di gran parte del mondo naturale, esseri umani compresi?
I paesi sviluppati vengono ampiamente accusati di perseguire politiche climatiche che sono considerate un’estensione di poteri coloniali, soggiogando i più poveri e legittimando atti di malvagità assoluta per permettere alla ristretta minoranza dei più ricchi del mondo di continuare a sterminare tutto ciò da cui dipende il nostro sostentamento.
Dopo 25 anni di fallimenti dovrebbe essere arrivato il momento di smascherare i burocrati che dirigono questo brutale spettacolo e costringerli ad assumersi le responsabilità dei loro stessi fallimenti.
Un sistema marcio
L’intero sistema dei negoziati ONU sul clima è marcio fino al midollo. Si cura a malapena di salvare le apparenze e di nascondere le ingiustizie che continua a perpetrare.
Ne traccia un quadro perfetto Angela Valenzuela, attivista del movimento Fridays For Future e originaria del Cile, paese che inizialmente avrebbe dovuto ospitare i negoziati.
Valenzuela sottolinea che non è solo il sistema climatico globale che sta collassando, ma anche il nostro sistema sociale ormai insostenibile: un sistema basato sulla disuguaglianza, dove pochi privilegiati, per decenni, hanno ammassato per sé stessi le risorse e le ricchezze che permetterebbero agli stati di prosperare.
L’attivista spiega come il governo in Cile abbia dichiarato lo stato di emergenza e abbia introdotto i coprifuoco per reprimere le proteste, che però sono continuate a lungo, anche dopo che si è deciso di spostare il vertice ONU a Madrid.
Valenzuela racconta di violenze e violazioni dei diritti umani. In molti casi, i manifestanti sventolano le bandiere dei popoli indigeni più che quella nazionale cilena. L’attivista descrive questo atto come un riflesso più profondo dell’identità nazionale.
Perdere fiducia
Il popolo cileno sta perdendo la fiducia nei sistemi di governo che non garantiscono l’uguaglianza e che certamente non sono in grado di fronteggiare la siccità pluriennale e l’aumento degli impatti climatici che ormai imperversano nelle aree settentrionali e centrali del paese.
Tutto ciò è in forte contrasto con la presenza del governo cileno alla COP. Ho chiesto a Valenzuela se avesse avuto in qualche modo a che fare con la delegazione nazionale presente alla COP: “Per me è stato un vero choc arrivare alla COP e assistere a tutto il greenwashing.
“Sfruttano le bellissime foto dei nostri paesaggi e tutti i nomi delle nostre città. Sapevo che le COP vengono usate per fare greenwashing. La scorsa edizione si era svolta in Polonia, uno dei paesi europei con la maggiore presenza di centrali a carbone.
“Sapevo del greenwashing ma ciò che mi ha scioccato è che io so che nel mio paese si stanno perpetrando delle violazioni dei diritti umani per mano del governo e invece qui stanno cercando di fare bella figura, fare finta che non stia succedendo niente.
“Quindi, ovviamente, mi è impossibile capirli o iniziare un vero dialogo. Per me hanno perso la loro legittimità.”
Populismo
Questi sentimenti stanno emergendo in molti paesi del mondo in cui le proteste sono in aumento e il populismo è in crescita.
Il cambiamento climatico comparso all’orizzonte è una minaccia esistenziale per la civiltà umana e ci metterà alla prova in molti modi.
Il fallimento delle COP dell’ONU spiana la strada a nuove proteste civili, mentre l’ondata degli impatti climatici si abbatte sulle coste di tutte le regioni del mondo.
Mentre svanisce la speranza di progressi tra le nazioni e di cooperazione e politiche intergovernative adeguate, la prossima COP26 sarà sicuramente un’altra fiera del greenwashing, questa volta inscenata dal neoeletto partito conservatore britannico, i cui trascorsi sull’ambiente sono pessimi.
Se state provando ansia a causa di questa crisi climatica non preoccupatevi: è la giusta risposta emotiva.
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Nick Breeze è uno scrittore e giornalista che si occupa di cambiamento climatico, è anche autore di numerosi articoli sulla vitivinicoltura. Organizza le conferenze sul clima Cambridge Climate Lecture Series e gli eventi Secret Sommelier.
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Per gentile concessione dell’autore. Traduzione di FFF Italia.
https://theecologist.org/2019/dec/16/un-climate-talks-moral-terms-its-evil