Come convivere con la crisi climatica senza diventare nichilisti

Come convivere con la crisi climatica senza diventare nichilisti

di Peter Kalmus

La crisi climatica fa ormai parte della nostra vita quotidiana, un peso a volte schiacciante.

L’uragano Dorian, che ha lasciato dietro di sé più di 70.000 senzatetto, è stato un esempio dell’attuale collasso climatico. Un oceano più caldo provoca tempeste più violente, un livello marino più alto causa inondazioni più gravi, una temperatura atmosferica più elevata comporta maggiori precipitazioni. Incendi sempre più gravi in California e altrove, inondazioni devastanti nel cuore delle regioni agricole, interi tratti di foresta cancellati nelle Rocky Mountains, il collasso globale delle barriere coralline: questi sono solo alcuni esempi nell’elenco sempre più lungo degli effetti catastrofici del collasso climatico.

Le prove che il riscaldamento globale causato dall’uomo sta disturbando pericolosamente gli equilibri del sistema Terra sono inequivocabili, e non occorre essere scienziati per notarlo. Negare questa realtà significa mettere a repentaglio miliardi di vite, e la Storia non potrà che condannare tale scelta.

Di fronte a questa realtà, si può essere tentati di dire “Ormai siamo spacciati”, come ha suggerito Jonathan Franzen di recente. Ma è un’ottica che deriva da un profondo fraintendimento dei probabili risvolti di questa crisi. Non ci sarà infatti un repentino superamento della soglia critica dei 2°C di riscaldamento globale oltre i livelli preindustriali, come Franzen ha erroneamente affermato. Al contrario, il collasso climatico è un processo continuo, nel quale ogni decimo di grado di calore in più comporterà maggiore morte e sofferenza. Per quanto la situazione diventerà grave, abbiamo il dovere di continuare a fare tutto il possibile per impedirne il peggioramento.

La mia presa di coscienza sul tema del clima risale a circa 13 anni fa, quando, da studente di fisica alla Columbia University, ho assistito a una lezione del climatologo James Hansen. Le sue parole mi terrorizzarono nonostante il gergo scientifico, e mi spinsero ad addentrarmi nella letteratura accademica sul clima. E proprio in quel periodo nacque il mio primo figlio.

L’amore per mio figlio ha reso mio il suo futuro. Un amore che si è esteso fino ad includere tutte le forme di vita su questo pianeta, questa meravigliosa astronave. Ho sentito il dovere di fare qualcosa, ma non sapevo cosa. Ero confuso e in preda al panico.

Man mano che la mia consapevolezza cresceva, ho attraversato i diversi stadi del lutto. Ho pianto per la disintegrazione degli ecosistemi, per il rischio incombente di un collasso sociale, per la portata di sofferenza e morte che questo scatenerà. Aver accolto questo lutto mi ha permesso di arrivare ad accettarlo, e quindi di mettermi a lavoro. Ho abbandonato l’astrofisica per la climatologia – e ho cambiato la mia vita. Mi sono accorto che allineare le mie azioni ai miei principi avrebbe potuto ridurre la mia ansia e dissonanza cognitiva. Ridurre le mie emissioni di CO2 era una scelta concreta che potevo fare, e si è rivelato interessante e divertente.

Nel 2010 ho analizzato la mia impronta ecologica e ho capito che la maggior parte delle emissioni da me prodotte era dovuta ai voli aerei e al cibo; quindi sono diventato vegetariano, ho trovato modi per evitare lo spreco alimentare e ho ridotto i voli. Ho anche iniziato ad andare in bicicletta e scoperto la passione per il giardinaggio e la coltivazione di frutta. Questi ed altri cambiamenti si sono rivelati così ricchi di soddisfazioni e gioia che ho iniziato condividerli con altre persone nella mia comunità.

In tre anni ho ridotto le mie emissioni a circa un decimo rispetto alla media americana. Non sempre è stato facile, e se esistessero aerei a emissioni zero, forse un volo all’anno lo prenderei. Però in generale la preferisco, questa mia nuova vita a carbonio ridotto: è più lenta, meno frenetica e più in connessione con la Terra e con la mia comunità. Ma per quanto mi piaccia molto, non mi illudo certo che sia la soluzione.

Invece, dopo anni di attivismo, mi è estremamente chiaro che la cosa più importante che ciascuno di noi può fare è di far sentire la propria voce, in modo da cambiare quanto più possibile tutta la nostra cultura. Abbiamo bisogno di una mobilitazione globale di massa per il clima: più rapidamente ci sapremo trasformare in una civiltà a zero emissioni, meglio sarà. Per innescare l’azione collettiva dovrà diffondersi la percezione del collasso climatico come l’emergenza che è, e la consapevolezza che l’utilizzo di combustibili fossili e la deforestazione sono pratiche socialmente inaccettabili. Abbiamo bisogno di un miliardo di attivisti per il clima.

Ridurre l’uso individuale dei combustibili fossili è un modo per rafforzare la propria voce. Ho scoperto che intraprendere questa strada rende la mia voce più autentica e mi permette di parlare più liberamente. Le azioni spesso parlano più forte delle parole, e il fatto che l’urgenza di questa situazione mi abbia spinto a cambiare completamente stile di vita colpisce molto chi mi ascolta.

Anche se sono convinto che usare meno combustibili fossili vada a beneficio di chiunque sia interessato al collasso climatico (come dovrebbero esserlo tutti!), mi rendo conto che non sia cosa facile. Ma esistono anche tanti altri modi per far sentire più forte la nostra voce. Ho preso l’abitudine di parlare del collasso climatico ogni volta che ne capita l’occasione, con gli amici, in famiglia, tra colleghi, con i commessi del supermercato e con altri attivisti.

Lo può fare chiunque, e vi porterà spontaneamente a contatto con le comunità di attivisti per il clima, come FridaysForFuture, Sunrise, Citizens’ Climate Lobby, 350.org ed Extinction Rebellion. Venerdì 20 settembre [in Italia venerdì 27 settembre, ndt.] i giovani di tutto il mondo terranno uno sciopero per il clima, per esigere azioni concrete. Entrare a far parte di una comunità di attivisti fa unire la tua voce ad un coro di altre voci, ti aiuta a informarti rapidamente e a non perderti d’animo al confronto con dati e fatti molto impegnativi.

Man mano che diventi più esperto, potrai usare la tua creatività. Io ho lavorato per spingere gli accademici a volare meno. Ognuno può usare abilità e interessi propri e unici per fare la differenza. Ormai può anche avere senso intentare cause legali contro aziende e governi. La disobbedienza civile non-violenta è diventata una scelta razionale. Queste sono tutte forme di espressione che possono fare la differenza.

Per me è stata una strada lunga, e spesso mi sono sentito una voce isolata in mezzo al deserto. Ma, il mio percorso non è neanche così degno di nota. Ciò che occorre è la determinazione di guardare questo mostro dritto negli occhi, e poi di insorgere per proteggere ciò che amiamo di questo prodigioso pianeta.

Oggi, nonostante le terribili notizie sul clima, mi ritrovo più ottimista che mai. La gente si sta svegliando! Forse c’è un po’ di panico, ma è una reazione sensata, ed è un buon punto d’inizio. Sono ottimista che vedremo una vasta mobilitazione per il clima e che assisteremo a una trasformazione dei sistemi a un ritmo e una scala che, un anno fa, non avrei nemmeno osato sognare. Insieme, stiamo diventando davvero quel miliardo di attivisti per il clima.

Peter Kalmus

Peter Kalmus è climatologo presso il Jet Propulsion Laboratory della NASA, e autore di “Being the Change: Live Well and Spark a Climate Revolution” @ClimateHuman

© 2019 Los Angeles Times. All rights reserved.

Per gentile concessione dell’autore. Traduzione di FFF Italia.

 

https://www.latimes.com/opinion/story/2019-09-13/global-warming-climate-change-science-activism-jonathan-franzen

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