Per capire cosa è stato e cosa continua a essere lo sviluppo economico in Italia bisogna andare a Ravenna.
Qui tra le acque e i canneti della laguna sorge uno dei poli petrolchimici più grandi del nostro paese costruito negli anni 50 da Eni.
L’azienda è presente nella zona dalla sua nascita, quando sono stati scoperti grandi giacimenti di metano. Nonostante gli anni l’azienda è la padrona di questa terra, e come racconta un attivista, a Ravenna “ciò che propone ENI è accettato senza fiatare”.
Negli anni ’50, in pieno boom economico, il metano era considerato una grande alternativa a petrolio e carbone, ma dopo 70 anni, migliaia di studi scientifici sulla crisi climatica, eventi estremi e, soprattutto, abbassamento dei costi delle energie rinnovabili, le istituzioni locali e i sindacati considerano ancora il metano una fonte energetica di transizione, ritardando la decarbonizzazione e scegliendo di dipendere ancora da infrastrutture e aziende che non permettono di rispettare gli Accordi di Parigi.
E, mentre ENI chiede a gran voce fondi pubblici per realizzare il progetto di cattura della CO2 (il CCS) e la produzione di idrogeno dal metano, la costruzione di impianti di energia rinnovabile resta impigliata tra le maglie della burocrazia.
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