Scendiamo in piazza il 23 settembre in occasione dello Sciopero globale per il clima. Chiediamo insieme impegni alla politica per affrontare questa emergenza!
Nell’ultimo anno abbiamo assistito ad un’allarmante picco dei prezzi dell’energia, che sta colpendo direttamente l’economia italiana e in modo particolare l’agricoltura. Parallelamente, le dinamiche geopolitiche ed eventi estremi sempre più frequenti mettono in ginocchio agricoltori e allevatori, erodendo ulteriormente un reddito già esiguo e seminando paura per la sicurezza alimentare.
Tutto questo avviene mentre le corporation del petrolio, del gas e dell’energia si arricchiscono e rallentano la transizione energetica, pur essendo tra le principali responsabili del cambiamento climatico e giocando un ruolo di rilievo nell’attuale contesto di guerra.
La crisi non morde tutti nello stesso modo: le borse merci sono luoghi in cui grandi attori finanziari, che a volte sono gli stessi che gestiscono i flussi commerciali, speculano sulla paura facendo grandi profitti, come sta avvenendo sui cereali.
Anche le grandi food companies italiane, nonostante gli accorati appelli di richiesta di aiuto e sostegno pubblico, non hanno visto scendere in modo significativo i loro utili, mentre sono migliaia le piccole aziende che rischiano di chiudere.
Tutto questo è il risultato di precise scelte politiche ed economiche costruite su misura per imprese di grandi dimensioni e con produzioni standardizzate, sempre meno tipiche e qualitative, che lasciano produttori e consumatori in balia degli shock del mercato. In Italia le piccole aziende agricole spariscono ad un ritmo impressionante, mentre quelle che rimangono diventano sempre più grandi ed intensive. Attualmente l’80% dei fondi europei per l’agricoltura italiana finisce nelle casse del 20% dei beneficiari, gli stessi che non hanno nessun interesse a favorire una maggiore redistribuzione dei soldi a disposizione.
Ma se il nostro comune impoverimento deriva da speculazione finanziaria, cambiamenti climatici, accentramento delle risorse nelle mani di pochi grandi attori… perché sono proprio le istanze ecologiste e le misure di salvaguardia ambientale ad essere accusate di voler distruggere la produzione di cibo in Italia? Frenare la transizione ecologica, come le più grandi associazioni di categoria stanno facendo chiedendo di sospendere il Green Deal e altre misure ambientali, significa perseverare in un sistema agroalimentare fossile, intensivo e fortemente dipendente da input esterni, che in passato ha sostenuto l’aumento delle rese, ma a danno del clima e della salute dei suoli, della biodiversità e dei piccoli produttori.
E’ proprio l’attuale sistema che sta mettendo a rischio il lavoro agricolo e il diritto ad un cibo sano a prezzi equi.
Produrre di più a tutti i costi non serve a garantire la sicurezza alimentare, ma i profitti di una cerchia ristretta che già ne ha fatti tanti in questi anni, a danno di ambiente e biodiversità. Serve invece ridurre gradualmente alcune produzioni insostenibili, come quelle derivanti dagli allevamenti intensivi, in modo da consentire una produzione di maggiore qualità, che possa garantire ai produttori un margine di guadagno più equo, incontrando la domanda dei consumatori con politiche di sostegno ai prezzi. Moltissimi studi provano che l’agroecologia può sfamare il mondo, ma è necessario un cambiamento che l’attuale agribusiness non vuole, e neanche le maggiori forze politiche, a giudicare dai loro programmi elettorali.
Non devono essere i piccoli produttori e i consumatori a pagare una crisi che non hanno creato, non cadiamo nella trappola della guerra tra ambientalismo e agricoltura: non c’è agricoltura in un ambiente inospitale.
Iniziamo scendendo in piazza insieme: il 23 settembre partecipiamo in tutta Italia allo Sciopero globale per il clima, per una transizione agroecologica della nostra agricoltura!
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