Rinegoziazione del debito e neocolonialismo

Una delle azioni fondamentali per garantire una giusta transizione ecologica che non lasci indietro nessuno è la rinegoziazione del debito per i Paesi del Sud del mondo. Conseguenza del colonialismo e dei meccanismi di aggiustamento strutturale dovuti alla cosiddetta crisi del debito del terzomondo, lo scambio ineguale ha infatti prodotto una valutazione al ribasso di beni, lavoro e servizi delle nazioni in via sviluppo o più povere, da cui è possibile ricavare grandi profitti proprio grazie alla differenza, in particolar modo salariale, con i corrispettivi occidentali. 

In sostanza si concedevano prestiti ai Paesi del Sud del mondo – come Africa, America Latina, America Centrale, India, Sud-est asiatico e molti paesi del medio ed estremo Oriente – e questi in cambio cedevano la loro sovranità economica. Le politiche imposte tramite il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale prevedevano austerità, privatizzazione, liberalizzazione, contenimento dell’inflazione. 

La maggior parte di quei debiti continua a essere pagata ancora oggi, anche a causa del tasso composto dei prestiti, e ciò impedisce a molti governi di investire in un welfare adeguato, svaluta i principali beni e risorse del proprio Paese, produce disoccupazione diffusa e la perdita di tutele e controlli. La forte richiesta che viene da più parti del mondo di impedire i prestiti condizionati e annullare gli interessi dei vecchi è la base per un intervento indipendente da parte di quelle nazioni nell’affrontare le molteplici crisi del presente.

Ora che ci troviamo ad affrontare la crisi più devastante, quella climatica, sappiamo che l’unica possibilità è garantire la sostenibilità sociale ed economica di tutti i Paesi. Per questo, per permettere un reale sviluppo autonomo anche dalle zone più povere è necessaria la cancellazione del debito.

 

Post in collaborazione con The Vision.

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