L’impatto silenzioso (ma non troppo) delle big tech

I servizi delle grandi aziende del digitale hanno avuto un forte impatto nel trasformare le nostre abitudini, ma non è meno significativo l’impatto che hanno avuto sul cambiamento climatico con il loro apporto di emissioni. Queste ultime, nel caso di società che mettono sul mercato i loro dispositivi, sono dovute anche ai processi di estrazione di risorse, produzione e trasporto di questi apparecchi, oltre che al funzionamento degli apparati di rete che li tiene in connessione 1. Per questo, le Big Tech stanno correndo in qualche modo ai ripari adottando soluzioni che possano ridurle. In questo articolo proviamo ad analizzare in che modo contribuiscono all’emmissione di gas serra, come sono legati all’industia del fossile e come si stanno muovendo. Prima, però, è utile ricordare, per evitare confusione, la differenza tra Carbon Free, Carbon Neutral e Carbon Negative2 3:

  • Carbon Free indica che non viene emessa CO₂ (da notare che il termine si riferisce solo al rilascio di Anidride Carbonica e non alla totaltà dei gas serra) in nessun processo di produzione e funzionamento.
  • Carbon Neutral, invece, ammette che ci siano emissioni di CO₂, però esse vengono bilanciate da tecniche di compensazione o recupero. In tal caso un’azienda che si definisce Carbon Neutral deve fare una stima di quanto ammontino le emissione rilasciate in un determinato periodo di tempo e adoperarsi per compensarle. In molti casi il bilancio è effettivamente zero, in alcune circostanze sono tuttavia emerse delle perplessità circa l’efficacia di tali tecniche o strategie4.
  • Carbon Negative implica che venga compensata o rimossa dall’atmosfera più CO₂ di quella emessa. Ad esempio alcune compagnie si prefiggono l’obbiettivo di recuperare non solo le emissioni correnti ma anche quelle rilasciate fino ad ora.

Non dobbiamo in ogni caso dimenticare che molte di queste aziende aiutano, forniscono strumenti e hanno collaborazioni con grandi compagnie petrolifere 5.

Procediamo quindi andando a valutare singolarmente alcune delle principali aziende del settore digitale.

APPLE

Apple ha ricevuto molte critiche nel corso degli anni per il suo enorme consumo di energia in fase di produzione e per il fatto che i suoi dispositivi e i relativi accessori siano progettati per avere una durata limita o essere difficilmente riparabili, portando a dover essere continuamente sostituiti.

Ultimamente la società di Cupertino, attenta a non rovinare la sua immagine, sembra stia cercando di rimediare almeno sul fronte energetico. Attualmente i loro data center sono alimentati completamente da fonti rinnovabili e si è impegnata a ridurre le emissioni del 75% su tutta la catena produttiva entro il 2030 (anche per quanto riguarda i suoi fornitori)6.

L’azienda ultimamente rivendica alcune scelte “green”, come quella di non inserire il caricabatterie associato nella vendita dei nuovi modelli di smartphone. Rimane però qualche perplessità se si pensa che la stessa azienda negli anni ha fatto ricorso alla pratica dell’obsolescenza programmata, in base alla quale si progettano i dispositivi per avere una durata limitata nel tempo o vengono rilasciati aggiornamenti volti a renderli obsoleti ben prima della fine potenziale del loro ciclo di vita. Va detto che questa pratica, associata negli ultimi anni ai dispositivi Apple, non è una prerogativa dell’azienta della mela, è molto più diffusa di quel che si immagina e riguarda il mondo della produzione tecnologica in generale ed è alla base dell’idea che sia più proficuo vendere sempre nuovi prodotti piuttosto che favorirne la riparazione o la sostituzione di singoli componenti7.

Di recente Apple ha annunciato che renderà disponibili pezzi ufficiali per poter riparare i prodotti da sé o in qualche negozio specializzato8, pratica che fino ad ora ha reso molto difficile, sia con accordi discutibili con i negozi, sia cercando di evitare la riparazione con parti non ufficiali.

Microsoft

Secondo un report di Greenpeace, nel 2017 Microsoft utilizzava circa per il 32% energia rinnovabile per alimentare i data center e vorrebbe diventare carbon negative entro il 2030. L’idea dell’azienda, infatti, sarebbe quella di riassorbire, entro il 2050, tutta la CO2 emessa dal 1975, anno in cui è stata fondata. Per poterlo fare ha stanziato un fondo di 1 Miliardo di dollari sullo sviluppo di soluzioni per la cattura e assorbimento di anidride carbonica. Non tutte queste soluzioni sono di fatto pronte al momento9.

In particolare Microsoft sta lavorando a un progetto per inabissare dei server nei mari scozzesi, in modo da mantenerli a basse temperature in maniera naturale. Un’idea ambiziosa, però anch’essa è ancora in fase di ricerca e richiede un grande sforzo di progettazione10.

GOOGLE

Google si definisce già Carbon Neutral dal 2007, un passo importante, che pone l’azienda tra le più impegnate nell’annullamento della propria impronta di carbonio. Come accennato sopra, tuttavia, questo vuol dire che produce ancora fisicamente emissioni di CO2. L’azienda ha perciò in programma di azzerare le emissioni (diventando Carbon Free) entro il 2030, per il momento l’utilizzo di energia rinnovabile nei suoi centri si stima intorno al 60%

Di certo le emissioni di Big G non sono poche, rappresentano circa il 40% dell’impronta di carbonio proveniente dal web11, arrivando a totalizzare circa 4,9 milioni di tonnellate di emissioni di gas serra nel 201812. Ciò deriva principalmente dallo spropositato numero di richieste verso i suoi numerosi e diffusissimi servizi (basti pensare a Youtube, Gmail e Google Maps e solo per dirne alcuni). Per questo Google sta valutando di spostare gran parte dei suoi data center in paesi nordici, più freddi, come Danimarca, Finlandia e Irlanda, dove è necessaria meno energia per raffreddarli.

Le criticità di questa azienda sono dovute più che altro nella raccolta massiva di dati, usati poi dagli algoritmi che spesso elaborano una quantità di informazioni non tutte essenzialmente funzionali a raggiungere lo scopo per cui è pensato il servizio. Infatti molta dell’attività che si svolge nei data center delle big tech in generale è finalizzata al modo in cui ci vengono presentati i contenuti sul web e che spesso vanno ad accrescere un modello che ci spinge a consumare di più.

META (Facebook, INSTAGRAM E WHATSAPP)

Meta non è da meno considerando tutta la rete di piattaforme ora in suo possesso, ricordiamo che comprende, tra le altre, Facebook, Instagram e Whatsapp. Anch’essa impiega circa il 60% di energia da fonti rinnovabili ed intende azzerare le emissioni entro il 2030.

Le piattaforme social grondano di contenuti, spesso presentati in alta risoluzione, e sono fatte in modo che l’utente ne visualizzi il più possibile durante la navigazione. Questi contenuti, soprattuto se sono video, sono determinanti nelle dimensioni di caricamento delle pagine di social e siti web, che si traducono in un maggior flusso di dati in rete. Tra di essi trovano sempre più spazio gli annunci pubblicitari, su cui i social network “tradizionali” basano buona parte del loro modello di guadagno. Un motivo in più per valutare l’utilizzo di canali alternativi13, basati sul modello dell’open source.

Dati da clickclean.org14, report di Greenpeace del 2017. Purtroppo non abbiamo trovato dati più recenti altrettanto precisi, attualmente le percentuali di energia rinnovabile dovrebbero essere in aumento. Le restanti percentuali derivano in parte dal nucleare ma le fonti fossili sono ancora fortemente presenti.

Amazon

Amazon ha fissato il traguardo di azzeramento emissioni nel 2040, ci si potrebbe aspettare maggior ambizione, facendo un confronto con gli obiettivi delle compagini fin qui trattate. Ad alzare i consumi è soprattutto il servizio di consegna immediata che obbliga i corrieri a fare più corse dirette privilegiando la velocità piuttosto che l’ottimizzazione del percorso.

Questo vale, naturalmente, non solo per Amazon ma anche per altri servizi di e-commerce e consegna a domicilio15 16, ma il noto predominio che ha l’azienda di Bezos in questo settore potrebbe essere sfruttato per fare da traino e cercare soluzioni più efficienti, cosa che forse ora sta incominciando a fare, ponendosi come obiettivo quello di utilizzare veicoli a impatto zero, almeno per il 50% delle consegne entro il 2030 17.

Di contro, Amazon sta aumentando la flotta di aeromobili in sua dotazione, affidandosi al trasporto aereo per rendere le consegne sempre più tempestive verso ogni parte del globo18. Un altro tasto dolente è la gran quantità di plastica usata negli imballaggi. Amazon afferma che sta cercando di ridurre il materiale utilizzato per il packaging che rimane comunque ingente19.

Appare scioccante invece la grande quantità di materiale invenduto che vene distrutto (fino a 120mila prodotti a settimana in un solo deposito), anche se nuovi e in perfette condizioni, tra cui anche molti dispositivi tecnologici, come rivela un’inchiesta di ITV News20 in un deposito Amazon del Regno Unito. Questo avviene perché ai fornitori internazionali non è conveniente far tornare indietro i propri prodotti per rimetterli sul mercato. Chiaramente si tratta di una piattaforma che ha fatto la sua fortuna grazie alla proliferazione incontrollata dei beni di consumo, che non si pone il problema delle barriere fisiche nel loro interscambio e non sembra sensibile allo spreco di risorse che questo modello può costituire.

NETFLIX E I SUOI FRATELLI

Tornando a parlare di impatto dello scambio dati, finora abbiamo trascurato quella che è la più grande fonte di traffico sul web: lo streaming video 21. I più diffusi provider di servizi di streaming, come Netflix, Primevideo, Hulu, Now sommati a piattafrome “tube” come la già citata Youtube, e, soprattutto, i siti pornografici, rappresentano una buona fetta di emissioni proveniente dalla rete22. In particolare nel caso di Netflix, l’energia pulita è impiegata solo per il 13% circa del totale. L’impatto varia notevolmente in base alla qualità dello streaming fruito, quindi può essere utile impostare una definizione più bassa quando non è necessario vedere un contenuto in HD.

Un impatto analogo lo si può avere dalle piattaforme di videogiochi online nel momento in cui si scambiano grandi quantità di dati. Da non sottovalure anche la crescente richiesta di applicativi per le videochiamate e la grande quantità di dati condivisi in cloud, sistemi in cui le grandi aziende citate in questo articolo giocano un ruolo da protagonista.

PER CONCLUDERE

Queste aziende ci offrono servizi che al giorno d’oggi paiono quasi irrinunciabili. Dobbiamo però ricordare che le decisioni prese da queste società, anche quelle che vanno in direzione del rispetto per l’ambiente, sono sempre finalizzate all’aumento del profitto delle stesse. Può quindi essere utile avere la consapevolezza di come si sta muovendo l’industria del digitale per conoscere l’impatto (spesso poco evidente) del mondo digitale e poter fare pressione, anche attraverso le nostre scelte, affinchè si continui a perseguire effettivamente una conversione ecologica anche in questo settore. A questo proposito, in certi casi, si possono valutare piattaforme alternative che offrono gli stessi servizi di quelle più utilizzate, ma con una visione etica differente 23.

Fonti / Note

Fonti / Note
1 https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/emissioni-co2-ambiente-internet-quanto-inquina-nostra-vita-digitale-effetto-serra-consumi-invisibili-streaming-app-video/eb680526-5363-11eb-b612-933264f5acaf-va.shtml
2 https://fridaysforfutureitalia.it/il-concetto-di-net-zero-si-sta-rivelando-una-pericolosa-trappola-parere-di-climatologi/
3 https://medium.com/cleantech-rising/whats-the-difference-between-carbon-neutral-zero-carbon-and-negative-emissions-baa83c76fc8d
4 https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/05/11/clima-piantare-foreste-per-inquinare-di-piu-cosa-ce-dietro-i-progetti-di-compensazione-di-co2-delle-multinazionali-report-greenpeace-su-eni/6193167/
5 https://www.greenpeace.org/usa/reports/oil-in-the-cloud/
6 https://www.apple.com/it/newsroom/2020/07/apple-commits-to-be-100-percent-carbon-neutral-for-its-supply-chain-and-products-by-2030/
7 https://newsmondo.it/obsolescenza-programmata-caso-apple/tech/
8 https://www.wired.it/article/apple-riparazioni-fai-da-te/
9 https://www.dday.it/redazione/33749/microsoft-carbon-negative-emissioni
10 https://natick.azurewebsites.net/
11 https://www.startmag.it/energia/emissioni-google
12 https://www.ilsole24ore.com/art/big-tech-scommette-green-impegni-big-il-carbon-free-AD2ywTp
13 https://fridaysforfutureitalia.it/canali-social/
14 http://www.clickclean.org/international/en/
15 https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/commerce-contributo-inquinamento-globale/7fcff954-3426-11e8-a1e2-51062e133ddb-va.shtml
16 https://www.duegradi.eu/news/e-commerce-ambiente
17 https://www.rinnovabili.it/ambiente/amazon-consegne-zero-emissioni-entro-2030/
18 https://forbes.it/2021/01/06/amazon-compra-11-aerei-per-accelerare-le-consegne/
19 https://www.hdblog.it/amazon/speciali/n515713/amazon-inquinamento-spedizioni-impatto-ambiente/
20 https://www.itv.com/news/2021-06-21/amazon-destroying-millions-of-items-of-unsold-stock-in-one-of-its-uk-warehouses-every-year-itv-news-investigation-finds
21 https://theshiftproject.org/en/article/unsustainable-use-online-video/
22 https://greenxtech.altervista.org/quanto-inquina-il-web/
23 https://www.lealternative.net/

Image Credits: Background Photo by Morning Brew

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