Non riusciamo a farne a meno. Entra nelle case, sposta le automobili, riempie tubi sottomarini e gigantesche navi, ne è pieno persino il cielo.
Houston abbiamo un problema: la dipendenza europea dal GAS è in fase acuta, e l’intera Unione sta affrontando una grave crisi d’astinenza. Non appena la Russia ha scatenato la guerra è iniziata la corsa per trovare nuovi fornitori, al mantra di “Toglietemi tutto ma non il mio GAS”… quel gas che, in realtà, non è mai stato “nostro”. Le riserve sotterranee di gas italiano sono davvero ridotte: 90 miliardi di metri cubi totali per un paese che ne consuma tra i 73 e i 76 ogni anno, e che attualmente con le proprie scorte non arriva a coprire il 5% della richiesta interna. Nel 2021 il gas utilizzato in Italia proveniva in minor parte da Norvegia, Azerbaijan, Qatar, Libia ma soprattutto dall’Algeria per quasi il 30% e dalla Russia per il 40%. Gas italiano: non pervenuto.
Allora come siamo arrivati ad esserne così dipendenti? Facciamo qualche passo indietro nel tempo. Inizialmente le aziende energetiche erano di proprietà dello Stato, il quale ne definiva la strategia, indirizzava gli investimenti e stabiliva il prezzo a cui vendere l’energia ai cittadini. Un prezzo politico stabile.
Poi è arrivato il 1992, anno che alcuni ricordano per le stragi di Capaci e via d’Amelio, per le Olimpiadi di Barcellona o per il primo SMS; nascevano addirittura Miley Cyrus e Neymar. Perché non sentiamo parlare di cosa faceva lo Stato italiano nel 1992? Lo scandalo di Tangentopoli ha in effetti attirato l’attenzione. Ma il 1992 è anche l’anno in cui l’Italia avvia quel processo di privatizzazione che ha affidato alle imprese le redini di alcuni settori strategici.
Da lì, tutto in discesa. Con il decreto Bersani del 1999 il mercato dell’energia elettrica viene liberalizzato e le attività di produzione, importazione, esportazione, acquisto e vendita di energia delegate alle aziende private. Stessa sorte capita al mercato del gas con il decreto Letta del 2000. Un processo che influenza anche le forniture italiane di energia. In questi anni la dipendenza dal gas inizia ad aumentare.
Se fino ad allora il petrolio aveva coperto il 60% dell’energia primaria, negli anni novanta la quota di gas comincia a salire, fino ad equivalere al petrolio dal 2010, tra il 35 e il 40%. Un ruolo cruciale in questa fase riveste Eni, la più grande azienda italiana dell’Oil&Gas. L’accordo più rilevante Eni lo sigla nel 2006 con la compagnia russa Gazprom, in cui prevede l’estensione dei contratti di fornitura di gas russo all’Italia fino al 2035. Una scelta di lungo termine (colpo di tosse ironico) tutt’altro che lungimirante.
Eni diventa il primo cliente mondiale di Gazprom, mentre l’Italia viene vincolata a rifornirsi di gas russo per il trentennio a venire.
Il tutto è reso possibile anche grazie all’amiciz… ehm, intermediazione di Berlusconi e Putin a cavallo tra i due secoli, che attraverso il metano rafforzano il legame tra la destra italiana e la destra russa. La contesa del gas è un’interminabile partita a Risiko, in cui l’Italia sceglie continuamente alleati autocratici e instabili, per il gusto di giocare. Quell’accordo celebrato come “un passo fondamentale per la sicurezza energetica del paese“ si è rivelato con il tempo una pessima mossa. Il contratto aveva ignorato non solo l’eventualità che la Russia entrasse in guerra, lasciando a secco l’Europa intera. Ma anche l’imminente crisi climatica.
In quel famoso 1992 infatti si svolgeva anche un altro, grande, evento storico: 178 paesi si riunivano a Rio De Janeiro per la prima conferenza mondiale sull’ambiente, a cui seguiva, soli tre anni dopo, la prima COP sul clima della storia.
Ma le coincidenze non finiscono qui. Proprio nell’anno in cui l’IPCC pubblicava il suo quarto report – il 2007 – con le più aggiornate informazioni scientifiche sul clima, le quote di gas russo vendute sul mercato italiano iniziavano a lievitare; e con loro le emissioni climalteranti. Già, il metano è un combustibile fossile con un potenziale effetto serra fino a 80 volte maggiore dell’anidride carbonica…
Ed è per questo che la decisione di investire sempre più nel gas, ha permesso a Eni di raggiungere un nuovo, strabiliante, traguardo: entrare nella classifica delle trenta aziende nel settore industriale più emissive di tutto il mondo. La rotta del gas non si interrompe mica qui.
Nel prossimo video viaggeremo in Algeria, Qatar, Libia; verso l’America e oltre, alla scoperta di nuovi accordi e nuovi progetti, in compagnia di altri simpatici businessmen… una sorta di giro del mondo in 80 gasdotti… segui la pagina di Fridays For Future Italia per non perdere la prossima puntata!